TABULA RASA.

In tempi normali, di solito, ci riferiamo allo stato di cose criticandolo, mettendoci ad una certa distanza, segnando una distinzione più o meno antagonista. Ma oggi non sono tempi normali. Siamo in una Grande Transizione epocale nella quale un fenomeno che ci riguarda tutti in termini sistemici, è l’incipiente smarrimento dell’Occidente, la sua collocazione nei processi storici in corso, la sua stessa consistenza, il suo senso. Rispetto questo specifico sistema, si pone l’opportunità di non rimanere dentro la sua configurazione data, pur criticandolo anche violentemente, si pone più l’opportunità -o meglio- la necessità di pensare ad un nuovo sistema. La nostra vasta e profonda subalternità ideologico-politica deve avere uno scarto e cominciare non più a lamentarsi di questo e di quello, di questa o quella inadeguata élite o ideologia dominante, deve saltare a prefigurare un sistema nuovo. Siamo in una di quelle fasi in cui Gramsci pensava si dovesse tentare la costruzione di una nuova egemonia sebbene le forze concrete sul campo fossero quanto più inadeguate. Quanto più sono inadeguate le forze concrete tanto più adeguato e tornito il discorso da portare avanti di modo che condivisione e diffusione di questo, possa creare i presupposti di una futura egemonia di fatto. Chiameremo questa costruzione “altra-egemonia”.  

Cosa fa una “altra-egemonia”? Assume la posizione dell’egemone, ma col proprio punto di vista, con la propria visione del mondo. C’è, ad esempio, una non sottile differenza tra l’invitare ad uscire dalla NATO e dall’UE e chiederne lo scioglimento ed è nel riferimento. Nel primo caso il riferimento rimane l’egemone, rispetto ad esso che è e rimarrà tale, si marca una distinzione, ma è una distinzione minoritaria per forza di cose, che non intacca la radice dell’egemone, per certi versi la rinforza prevedendone la continuazione di potere. Nel secondo caso, invece, il riferimento è direttamente il potere, ci si pone in forma competitiva con l’egemone per il potere, si avanza una idea di diverso potere o la posizione dell’egemone o la posizione altro-egemonica cha a questo punto perde la sua origine “contro” e diventa “per”. Per un nuovo assetto di potere.

Con quelle sincronie intellettive che promanano dagli invisibili movimenti dentro le immateriali immagini di mondo, pochi giorni fa, Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, ha invocato con grande tranquillità come fosse evidenza logica improcrastinabile, lo scioglimento dell’alleanza implicita con Israele e lo scioglimento della NATO. Forse Tarquinio candidato PD alle europee, originato in un partitino (DemoS) a suo tempo scisso dai tranquilli Popolari per l’Italia, è diventato un trinariciuto antimperialista? Non necessariamente. Semplicemente ha preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere il dopoguerra saldato ampiamente il debito e con gli americani e con gli ebrei-israeliani. Quindi Tarquinio non ha chiesto all’Italia di uscire da certe alleanze, ha chiesto di sciogliere quelle alleanze.

Così un intervento di Agamben di qualche giorno prima non ha chiesto di uscire dall’euro e dalla UE in occasione delle ultime elezioni europee di questo week end, ha chiesto di sciogliere queste istituzioni, negargli il riconoscimento, cominciare a pensare il dopo. Cominciando dal mandare a vuoto l’invito a votare poiché non partecipi ad una cosa che secondo te non dovrebbe esistere ed oltretutto ti prende in giro simulando pratiche democratiche di partecipazione ad una istituzione che non lo è strutturalmente, cioè giuridicamente. Forse Agamben è diventato “sovranista” stante che da Macron a Scholz in giù sono tutti sovranisti? Non necessariamente.

Relativamente ad “Europa” come concetto generale, proprio Agamben già dieci anni fa aveva riesumato l’idea di Alexander Kojève su una unione dei soli paesi latino-mediterranei poiché non fai nuovi stati se non ci sono retroterra geostorici e quindi culturali comuni. Ma l’effetto a strascico della continua perdita di sovranità, ci ha portato anche a perdere sovranità mentale e così si pensa, si parla e si scrive solo sui temi dell’agenda imposta al dibattito pubblico. Ecco così che ci siamo divisi tra chi pensava di fare una cosa con 27 soggetti che più eterogenei e diversi non si può e chi per negazione dialettica è rimbalzato al “stiamo meglio da soli”. In un mondo 8-10 miliardi di individui ripartiti al momento in 200 stati dentro logiche viepiù di complessità multipolare, con soggetti massivi del calibro di Cina, India, Indonesia, Nigeria, Brasile, USA etc., guerre e conflitti e competizione economica e finanziaria di grande massa, nuove potenze tecnologiche e scarsità energetiche e materiali, con disordine climatico e demografico, il “stiamo da soli” non sembra una grande idea. Non lo fu anche lungo tutta la modernità laddove noi italiani rimanemmo frazionati in principati e granducati mentre tutti gli altri facevano potenti stati-nazione. Se ne doleva amareggiato già il Machiavelli nell’ultimo capitolo de Il Principe, ai primi del ‘500, invano.

Sciogliere l’UE ed anche solo ripristinando la condizione iniziale o quella del solo mercato comune, una Europa non UE potrebbe fare tante altre cose come dotarsi di una sua rete Internet con propri server alpha trattenendo quanto più possibile i suoi dati che sono ricchezza. Dotarsi di un comune ombrello nucleare che di questi tempi male non fa, riprendere il proprio specifico sviluppo culturale umiliato dall’aggressiva cultura anglosassone che ha il monopolio  dell’immaginario. Potenziare l’intero sistema educativo subcontinentale in convinta direzione di una società della conoscenza e non solo del libero scambio. Creare istituti di ricerca avanzata con budget adeguati in grado di sfornare brevetti competitivi nella nano e biotecnologie o relativi le energie alternative al fossile o alla sola “industria di difesa” etc. In fondo era da lì che s’era partiti settanta anni fa con la CECA e l’EURATOM. Questo spazio di cooperazione fattiva e date le dimensioni dei singoli stati europei, necessaria, è stato del tutto assente sino ad oggi, cosa che ha dell’incredibile.

Semplicemente si deve prendere atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere, anche qui, il dopoguerra che impose all’Europa di diventare in blocco un sub-sistema americano contrapposto all’URSS. La diade USA-UE andava forse bene nella guerra fredda anche perché Europa non era minimamente in grado di essere e fare alcunché di diverso. Fu questo allineamento a forzare il processo di ripristino della convivenza subcontinentale verso una qualche forma prima di mercato comune e poi di “unione”, per quanto il termine stesso sia ambiguo. Ma il tempo storico del dopoguerra in cui tutto ciò si è svolto è terminato, ne è iniziato un altro con la quale siamo del tutto fuori sincrono.

In quei decenni ogni stato convergeva verso la NATO che li riceveva passivamente, oggi è la NATO a decidere cosa, come, quando e perché fare una certa strategia e gli stati, in funzione del legame di alleati, debbono seguire. Il che porta, come rilevato dall’ineffabile Tarquinio, a trasformare una alleanza meramente difensiva che non ha sparato neanche un mortaretto per settantatré anni contro un nemico ideologico manifesto, in una alleanza offensiva contro un nemico neanche ideologico, un semplice competitor geopolitico da fase multipolare. Neanche un competitor degli europei, che fino a poco tempo fa favoleggiavano di reti comuni da Lisbona a Vladivostok scambiando forniture energetiche con tecnologia, dei soli americani.

Viepiù visto che si stanno cambiando i termini dell’alleanza, come fanno gli israeliani trasformandosi nel popolo oggi meno amato delle Terra visto i crimini contro i livelli minimi di umanità reclamati dall’intero parterre delle Nazioni Unite o come fanno gli americani trasformando la NATO in una SuperLeague contro tutto il mondo che si ribella al lungo dominio occidentale volendo dedicarsi ad un proprio futuro di pacifico commercio à la Montesquieu, queste alleanze non possono ritenersi più valide. Come i contratti non sono più validi se si cambiano i termini pattuiti, l’oggetto stesso del patto.

A questo punto, una posizione altro-egemonica deve dichiarare di voler fare tabula rasa, azzerare alleanze, accordi, patti, trattati. Per? Si vedrà, prima si torna all’ora zero, poi si ricomincia a contare daccapo, su altre basi, con altri intenti, chiarendo bene i fini e le proporzioni di potere tra i contraenti nuovi patti. Mi sembra un buon punto da cui ripartire per cercare una strategia adattativa ad un mondo che sta cambiando molto profondamente e molto velocemente e riprendere iniziativa intellettuale politica attiva. Una posizione altro-egemonica deve dichiarare e pretendere la tabula rasa per poi avanzare una propria idea di come stare nel mondo nuovo. Sciogliere UE, euro e NATO, questo l’inizio della costruzione di una posizione altro-egemonica. Bisogna cominciare ad aprire spazio per un nuovo pensiero politico, nuove strategie adatte al mondo nuovo e sempre più complesso, nuove forme di vita associata e va fatto nel discorso pubblico se poi si vuole farlo diventare fatto concreto.

La natura cataclismatica delle ultime elezioni europee, a livello sistemico quindi europeo, si rileva facilmente da: 1) affluenza di circa solo il 50% aventi diritto, dove molti paesi sono sotto questo requisito minimo (Germania e Belgio hanno raggiunto Austria e Malta che hanno sfondato l’età minima del voto a 16 anni, hanno avuto quindi nuovi votanti che hanno mantenuto un po’ l’indice di partecipazione in quei paesi); 2) partito opposizione in Francia ottiene il doppio dei voti di quello di governo, fatto che porterà a nuove elezioni; 3) partito di opposizione in Germania che arriva allo stesso livello dei tre partiti di governo sommati, il che dovrebbe portare a nuove elezioni, le porti poi effettivamente o meno; 4) a seggi, i due partiti che perdono più vistosamente sono liberali e verdi, cuore del New Green Deal neoliberale; 5) c’è una marcata radicalizzazione sbilanciata a destra e questo sembra essere l’unico tratto comune di un sistema che in comune non ha altro sul quale fondarsi. Tale situazione è strutturale ovvero non mostra caratteri contingenti, quindi inutile sperare/temere si riequilibri.

Il voto ha mandato in crisi profonda il potere interno i due stati che reggono la costruzione unionista dalla sua fondazione, ha portato in massa critica forze quantomeno scettiche sulla ultima deriva guerrafondaia antirussa, ma storicamente scettiche anche sull’UE, ha mostrato la sostanziale disaffezione popolare a questa kafkiana istituzione unionista che da regia economica s’è poi lanciata in quella monetaria e di recente in quella bellica, sempre saltando i minimi requisiti di democraticità. Per quanto si possa definire democrazia il sistema parlamentare liberale detto anche con ossimoro “democrazia di mercato”. Tale istituzione allo sbando non può neanche più contare sulla passività gregaria dei popoli europei, diverge vistosamente, non è più riconosciuta semmai lo è stata. Tra cinque mesi, un altro terremoto di qualche tipo investirà l’egemone primario ovvero quegli Stati Uniti d’America che stanno torcendo l’intero Occidente alla loro isteria da perdita di potenza effettiva sul mondo. Il sistema occidentale scricchiola vistosamente, crollerà sotto la pressione di eventi che si è fatto finta di non riconoscere, negando realtà e buonsenso, va posto il problema del dopo e chi lo fa prenderà un forte vantaggio egemonico. Occorre scuotersi dalla passività nichilista, se non ora quando?

L’UE è arrivata al capolinea della sua traiettoria storica, va sciolta e con lei la NATO. Sarebbe bene quante più forze critico-alternative, collettive e individuali, politiche ed intellettuali, convergessero presto almeno su questo punto comune per riaprire lo spazio del pensabile. A meno di non voler lasciare l’egemonia neanche più nella mai dei liberali, ma dei neo-fascio-nazisti direttamente. Un secolo fa esatto ci trovammo in situazioni simili e sappiamo com’è andata a finire.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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2 risposte a TABULA RASA.

  1. marterlun ha detto:

    Tutto vero.

    Ora l’alternativa già esiste e sono i BRICS e non tenerne conto è una ulteriore fuga in avanti. Un esempio per tutti, la Turchia che si esprime pubblicamente per entrare in questa istituzione, oggi non ieri, e manda il suo ministro degli esteri a interfacciarsi con i gestori ufficiali e fondativi per creare i passi concreti per ufficializzare e formalizzare questa sua decisione

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