Il decano dei “complessologi” italiani, Mauro Ceruti, invita ad aprirsi alla necessità di una nuova paideia in grado di comprendere il codice portante la nostra nuova epoca storica ovvero la sua “complessità”.
Siamo in una nuova epoca storica? Normalmente non ci domandiamo mai in che epoca storica siamo capitati anche perché da almeno cinque secoli, noi e tutti i nostri antenati siamo nati nell’epoca moderna. Non capita tutti i giorni o settimane o anni o decenni ed anche secoli, nascere e vivere al trapasso tra un’epoca storica ed un’altra. Tuttavia, è proprio ciò che sta succedendo.
L’umanità ha triplicato i suoi effettivi nei soli, ultimi settanta anni, evento che per dimensione, peso e brevità temporale, non si è mai verificato nella storia umana. Ha triplicato le sue forme istituzionali (Stati), alcune civiltà sono e stanno crescendo molto (asiatici, africani), altri perdono peso (occidentali). Si sono grandemente arborizzate molte reti del sistema umanità (trasporti, comunicazioni, scambi commerciali, finanziari, culturali), popolazioni prima ordinate da stili di vita pre-moderni hanno sincronicamente avuto accesso ai modi dell’economia moderna, particolarmente entropica. Nuove ricchezze che cambiano le società e gli stili di vita e che poi nel totale dei singoli stati portano a nuovi livelli di potenza che eccitano la ripresa della competizione geopolitica. Quindi sì, è innegabile e del tutto evidente che siamo entrati in una nuova epoca storica, nostro malgrado.
Qual è la caratteristica sintetica, il carattere portante, di questa nuova epoca storica? La sua complessità. Il mondo è sempre stato complesso ma di complessità si danno diversi livelli, il livello che si sta manifestando e promette di continuare a manifestarsi, è particolarmente intenso, è un “salto di grado” del fenomeno complesso.
Ma con “complesso” cosa s’intende? La definizione è a sua volta complessa, ahinoi. Di base, si tratta di notare di quante parti è fatta una cosa, come queste parti interagiscono tra loro, come la cosa interagisce con altre cose, in che contesto si trovano tutte queste cose, come funziona tutta la dinamica rispetto al tempo.
Questo breve elenco è già di per sé una collezione di novità clamorose nel come pensiamo di solito alle cose in generale. Di solito pensiamo che una cosa è un tutt’uno preciso e definito, ma se poi scopro che è un tutt’uno formato di parti ci tocca capire meglio di quante e quali parti la cosa è composta. Aristotele, ad esempio, avvertiva che ci sono cose che non sono semplici ammassi di altre cose ma interi che sono “qualcosa più delle parti”. Oddio, di cosa son fatte allora le cose oltre ad esser fatte di parti? Delle relazioni tra le parti.
Qui va avvertito chi legge che nasce un grosso problema. Non per secoli ma per millenni, la forma del nostro pensare ha previsto certo le cose, gli enti, ma quasi mai le relazioni interne che li compongono. Semplicemente, ci ha fatto “comodo” non andare troppo nello specifico anche perché questo mondo delle relazioni interne tra cose che poi formano la cosa più grande a cui diamo un singolo nome “uomo” ad esempio o “mondo”, non solo complica di molto la faccenda, ma è anche molto dinamico. Ecco perché alcuni filosofi pensavano che la cifra della realtà non fosse l’essere ma il divenire, è molto più difficile considerare le cose come divenienti e non stabili e definite una volta per tutte.
Ma i problemi non finiscono qui con la complessità delle cose. Infatti, così come ogni cosa è fatta di più o meno parti con più o meno relazioni tra loro (interrelazioni), ogni cosa così composta e non più semplice, ha a sua volta relazioni con altre cose a loro volta fatte di parti in interrelazione. Nel mondo reale non c’è cosa isolata, la c.d. “monade” che è una entità pensabile in via metafisica, in via fisica ovvero concreta, reale, esistente e tangibile, ogni cosa è in vari tipi di forme ed intensità di intrerrelazioni con altre cose. È quindi “relativa” anche ad altre cose.
Tutto questo ambaradan di cose composte e complesse che intrattengono tra loro relazioni molteplici e dinamiche, avviene in un contesto. L’intero ambaradan ha relazioni col contesto e riceve dal contesto condizionamenti e determinazioni.
Tutto quanto detto più che enti, disegna fenomeni interpuntati di eventi (cose che accadono, puntiformi come gli eventi, continuate come i fenomeni) ed è quindi bene ricordarsi sempre di specificare quale tratto di tempo consideriamo nel descriverle. Se parlo di una cosa moderna fa però una certa differenza se considero la modernità iniziale (ad esempio il ‘600) o mediana (‘800) o recente (fine ‘900) e fa altrettanta differenza se la considero in un istante dato o lungo un tratto di tempo più o men lungo, le brevi o lunghe durate. Per capire ad esempio cosa intendiamo con “capitalismo” c’è chi si limita al recente finanzcapitalismo, o chi pensa il capitalismo sia quello industriale dell’800 o invece nasca con le enclosure del tardo Cinquecento o addirittura risalga ad un vario set di pratiche, strumenti e convenzioni inventate per lo più nell’Italia del ‘300-‘400. Durate diverse, cose diverse o meglio aspetti diversi dalla stessa cosa o meglio dello stesso fenomeno.
Messa così l’intera faccenda sembrerà molto astratta, ma se provate ad applicarla alle cose che pensate, al “come” le pensate, vedrete che è un’intera descrizione del mondo che cambia rispetto a ciò che siete soliti considerare. Voi stessi non siete solo e precisamente una cosa o un preciso modo di essere ma una collezione di possibilità, alcune più probabili di altre ma con una certa pluralità. Non potete considerarvi al netto dei legami amorosi, affettivi, amicali, sociali, culturali e storici di cui siete solo il nodo. Queste altre formazioni sistemiche di cui siete parti (ed in genere siete parti di più sistemi al contempo), risente del contesto in cui si trovano ed il vostro essere cambia da ora a fra un anno, cambia se ne considerate la storia passata o quella futura.
Quindi, Tommaso invitava ad inquadrare la conoscenza secondo il principio dell’”adequatio rei et intelletcus” ovvero il fatto che l’intelletto deve esser adeguato alla cosa. La cosa storica nella quale siamo capitati è un cambio addirittura di era che mostra grande incremento di complessità, la cosa è quindi complessa, dovrebbero esserlo anche le forme del nostro intelletto. Ma il nostro intelletto, purtroppo, è quello che ereditiamo dalla modernità, non è adeguato e va quindi adeguato altrimenti non capite con cosa avete a che fare.
Ecco allora il senso dell’intervista allegata, c’è bisogno di una nuova paideia, termine greco che stava per pedagogia, cultura, forma mentale, forma ed istituzioni di conoscenza. Ci sarà molto lavoro filosofico da fare (ontologia, gnoseologia) ma anche in termini di istituzioni e forme della conoscenza, ad esempio promuovendo accanto al sistema delle divisioni disciplinari (che è copia conforme l’ordine della divisione e specializzazione del lavoro), un nuovo sistema multi-inter-transdisciplinare.
Se tutto è connesso con tutto, va da sé che isolare une ente, un fenomeno, un fatto può esser utile e comodo per le nostre abitudini mentali e linguistiche, ma va da sé anche che la sua natura intrinseca rischia di sfuggirci.
Rispetto al “mondo”, ad esempio, se non usate assieme lenti geografiche, storiche, demografiche, politiche, economiche e finanziarie, tecnologiche, ambientali e climatiche, culturali, militari con un minimo di prospettiva a quello che si pensa succederà nei prossimi decenni, rischierete di non capire cosa il mondo è, cosa sta diventando, cosa e come fare per adattarsi o adeguarsi come diceva Tommaso.
Stante che dobbiamo sempre ricordarci che adattamento si dice in due modi, l’uno che prevede la nostra stessa modificazione per andar in accordo con le nuove forme del mondo, l’altro che prevede anche che noi si possa intervenire a modificare -per quanto possibile- quello stesso mondo a cui dovremmo adattarci. Il che prevede la possibilità di cambiarlo, azione viepiù possibile o impossibile a seconda di quanto realmente lo conosciamo per ciò che è.




