DEMOCAZIA O BARBARIE (2/3): LA DEMOCRAZIA RADICALE.

Ma cosa significa autonomia?

Autos, sé stesso¸nomos, legge.

È   autonomo chi dà a sé stesso le proprie leggi.

C. Castoriadis, La rivoluzione democratica, Eleuthera, 2022

In Occidente, da tempo vige un sistema politico-giuridico detto “democrazia”. Riconosciuto ormai in crisi nel senso comune non meno che in quello esperto, terminale o meno non si sa, si presume esso abbia invece avuto una fondazione corretta e giusta rispetto al concetto. In Italia, ci si appella a spirito e lettera della Costituzione, ad esempio e se ne rimpiange la vigenza ormai corrotta.

Un democratico radicale, purtroppo, non riconosce neanche a quel tempo e forma piena di buona intenzione il crisma di “democrazia”, si trattava di repubblicanesimo e tra le due forme c’è differenza. Ecco allora che il democratico è radicale, semplicemente nel senso che intende la democrazia come significato alla radice “Essere radicale significa cogliere la cosa alla radice (Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)”. Si tratta quindi di un problema di nome e cosa dove la cosa è la radice che dà crisma al nome. Qual è allora quella radice?

Semplicemente il sistema che in atto storico aveva quel nome anzi quel nome ha battezzato. Si tratta della democrazia dell’Antica Atene. Cornelius Castoriadis, più di ogni altro[i], può dirsi teorico della democrazia radicale ed ha più volte specificato che -ovviamente- nessuno si sogna di intendere quella esperienza politica come un “modello” da copia-incollare senza riguardo ai diversi contesti e tempi assai diversi. Tra i duemila e cinquecento anni di distanza ed i trentacinquemila maschi adulti con schiavi come unici detentori di diritto di cittadinanza, quindi politici, ed oggi, c’è ovviamente un abisso non colmabile. Si tratta invece di operare una “estrazione di principi”, principi poi da rielaborare e declinare nei nostri contesti e tempi ben diversi.

È quello che a modo sua fece il liberale Benjamin Constant quando si pose il problema della continuità e trasformazione della “libertà degli antichi e dei moderni” (Discorso del 1819 pubblicato e circolante poi nei successivi decenni). A modo suo ovvero oligarchico liberale. Constant, più di ogni altro, è tra coloro che hanno pervertito una antica tradizione luminosa e splendente che retro fondava lo stesso senso di orgoglio storico occidentale, orgoglio culturale storico e politico prendendo la parola e mettendoci sotto una variante in aperta contraddizione.

Democrazia radicale nasce nel 462 con la riforma di Efialte, poi ucciso, fino al 404, dentro un più ampio periodo democratico durato dal 508/7 (riforma Clistene) al 322/1 (abolizione da parte macedone). Venne interrotta da due riprese violente degli oligarchi, la sua seconda fase è detta politeia ed ha caratteri meno tumultuosi e costituzionali, ma a tratti demagogici. Tale periodo, complessivamente, sfiora i due secoli o li supera a seconda di quanto si vuole includere l’opera fondativa di Solone. La democrazia radicale ha gradi parentela con l’anarchia ma poiché è votata ad amministrare uno stato vi differisce in realtà alla radice.

Siamo quindi in riflessione per l’ambito storico-culturale europeo occidentale, non certo per altre dimensioni mondo. Ora qui non siamo in un trattato di “scienza” politica; quindi, non possiamo entrare troppo nel merito. Nel voler tentare però la consigliata “estrazione dei principi” un primo elenco dovrebbe essere: 

  1. Il sistema elettivo è ritenuto da tutti gli studiosi di storia e teoria politica proprio dell’ambiente aristocratico, non democratico. Ciò poi non vuol dire che ne è escluso l’utilizzo in via di principio, anche ad Atene c’erano cariche elette. Comunque, il sistema della delega non può -in prospettiva- essere il portante e senz’altro non l’unico.
  2. Il sistema democratico dovrebbe prevedere l’estrazione a sorte. Limitato da una serie di fattori poco noti ma già applicati ad Atene ovvero l’esame di idoneità del candidato nei demi, la sua effettiva preparazione e probità, il suo offrirsi spontaneamente ma conscio degli impegni di rendicontazione finale della sua carica e pena per gli errori più gravi eventualmente commessi, la limitazione del mandato, la sua revocabilità, la sua non ripetizione, il suo essere di servizio civile e non di carriera. L’estrazione era quindi su liste limitate, qualificate, di consapevoli dell’impegno. Solo uno stolto si priverebbe di tecnici, esperti, studiosi. Basta consultarli attivamente senza che qualche matto decida che debbano esser loro a governare per conto della loro oligarchia di riferimento. Un sistema di esperienze cumulate si può mantenere negli ambiti di governo come consiglieri senza poteri.
  3. Il sistema democratico dovrebbe essere una forma politica attiva e decisionale a vari livelli che va dal locale al nazionale secondo logiche, flussi e riporti molto più densi e complessi di quelli che ci sono nei nostri paesi. Per fare incursione nei tempi e luoghi nostri forse dovevamo abolire le regioni più che le province. Forse si sottovaluta il fatto che il “demos”, prima che la generica “cittadinanza” o “popolo”, era una precisa unità territoriale di tipo circoscrizionale. Furono le riforme di Clistene nel senso di queste unità comunitarie piccole a dare inizio alla democrazia classica ateniese (Dieci tribù, trenta trittie, 139 demi scompaginando logiche famigliari, di classe e territorio di residenza). Là si sviluppò la essenziale forma del “vis à vis” ovvero il collante sociale interpersonale, la reputazione, la fiducia, l’intesa, il rispetto anche di chi non ci assomiglia poi così tanto e tuttavia, ci piaccia o meno, è concittadino.
  4. C’è poi una questione essenziale di tipo culturale che è tanto affascinante quanto qui intrattabile. Una democrazia politica esiste se immersa in un soffice bagno morbido e pervasivo di cultura politica, cultura generale, informazione, conoscenza qualificata e diffusa, dibattito e partecipazione continuata, appassionata, eticamente doverosa. L’ambiente culturale democratico era in sincronia con la più straordinaria infiorescenza di filosofia mai registrata nei consessi umani occidentali. Teatro, lessicografia, retorica, logica, poesia, scuole dell’espressione e del ragionamento. Purtroppo, qui da noi, anche quando s’è fatta riflessione critica e dibattito su come deve essere una democrazia, lo si è fatto in logica giuridica, importante certo, ma troppo meccanica per generare effettiva democrazia in atto. Nei fatti, isonomia e filosofia nascono intrecciate. Tutto ciò era a forma diretta ed indipendente il sistema che oggi governa la rete dell’informazione alla cittadinanza, ovviamente di proprietà di capitale o di variabile maggioranza di governo.
  5. L’espressione diretta degli interessati alle decisioni politiche va ricercata in più modi ed è decisiva. Questo è una parte dell’aspetto detto “diretto” ma l’assemblearismo non spiega tutta la democrazia, nelle nostre società poi sarebbe assai difficile da perseguire come fondazione unica. I 6000 votanti medi a scrutinio segreto nell’Assemblea generale, erano un quinto gli aventi diritto, ma si esprimevano almeno quaranta volte l’anno non una ogni quattro anni. Era per altro in sistema binario col Consiglio dei Cinquecento che ne aiutava la razionalizzazione. Vasta e molto complessa però era sia la macchina delle istituzioni statali, sia il sistema politico che si esprimeva nei demi. Sulle questioni attinenti i criteri di decisione, quando unanimi, quando a maggioranza, c’è da scendere in dettaglio. Ogni partecipazione politica aveva un minimo di remunerazione per quanto poco più che simbolica. Una cosa era certa, fare politica ed amministrare la cosa pubblica era rischioso e senza profitto economico diretto o indiretto.
  6. Pur non vietando i partiti, una vera democrazia dovrebbe puntare -nel tempo- a non averne bisogno (Simon Weil). Mentre si dovrebbero fare più libere associazioni tra gente che più o meno la pensa allo stesso modo ma anche no, l’importante è tornare a discutere, approfondire, condividere. Questi gruppi omogenei relativamente c’erano anche in Atene, ma si forza la definizione a definirli propriamente partiti.
  7. Valori decisivi e fondanti sono ovviamente l’isonomia, l’isegoria, l’isocrazia (-iso, lo stesso, l’uguaglianza) la parresia. Non gli spieghiamo qui ma chi vuole se ne potrà facilmente fare una idea con una piccola ricerca. Segnalo con paressia, l’ultimo corso tenuto da Micheal Foucault al College de France, un tema di nuovo radicale, ma produttivo e concreto, sforzarci di dirci e sopportare la verità nel senso di quella che ci sembra tale.
  8. In una democrazia, la lotta di classe, la lotta ideologica, financo la sperabilmente poco probabile –stasi– (guerra civile), ogni conflitto si dovrà operare internamente, tramite i meccanismi politici e giuridici, appunto, democratici. Si fece una legge antica, prima della democrazia, che obbligava a partecipare alla guerra civile, si veniva puniti perché non si faceva la guerra civile e non per aver fatto la guerra civile! Perché non si prendeva parte, massimo insulto ai principi di comune convivenza.
  9. In pratica, democrazia è solo il regolamento della dinamica politica in un sistema sociale ordinato del politico e non dall’economico. Tutte le ideologie e le posizioni di principio, le preferenze etiche e le immagini di mondo sono invitate ad alimentarla. Discutendole e pervenendo a sintesi o anche senza sintesi, tanto alla fine si dovrà pur decidere qualcosa di determinato. Governare ed esser governati a turno, migliora dell’uno e dell’altro per via dell’immedesimazione e la doppia esperienza acquisita, bilanciando gli eccessi.
  10. Il sistema democratico ha come obbligo il cercare di ridurre costantemente le distanze tra fasce di popolazione (economiche, culturali etc.), è una società corta che oscilla intorno un “giusto mezzo” che però è equilibrio che non si raggiunge mai, pena la morte del sistema. In termini di geometria politica, se la forma del potere dell’Uno e dei Pochi è triangolare e piramidale, la democrazia è circolare e sferica.
  11. La democrazia deve avere una produzione giuridica costante, è un regime auto-istituente e deve cambiare o ritoccare o evolvere sé stessa di continuo, democraticamente. Questo stesso catalogo è solo uno dei possibili. L’unica forma legittima di democrazia sarà quella che la democrazia in atto si darà.
  12. Una piena democrazia non si raggiunge mai, è un tendere a… Essa è stesa nel tempo progressivo, si costruirà col tempo necessario. Abbiamo visto più e più volte, soprattutto con le “rivoluzioni” come comprimere il tempo del cambiamento di cose complesse porti a varie catastrofi. Non ci si può far niente con la realtà complessa, il suo tempo naturale prescinde dai nostri desideri di immediatezza semplificata.
  13. L’ostracismo ovvero l’espulsione dalla convenzione civile di chi non gioca il gioco correttamente, è forse la più antica delle pratiche punitive dei gruppi umani. Lì dove cacciare il reprobo dal gruppo, nel lungo Paleolitico, significava dargli morte certa per prevalenza della Natura. Nelle città-Stato democratiche, era la confisca dei diritti civili, fiscali, politici, giuridici, a volte la fisica cacciata fuori le mura. È la massima sanzione della comunità ed ha un alto valore simbolico.

Ciò comporta almeno altri due punti strategici rilevanti.

Il primo è la sostituzione netta e totale delle funzioni ordinative della società dall’economia alla politica. Economia, finanza, sistemi proprietari, collocazione e regolamento di mercato, altre forme economiche non di capitale verranno evoluti e decisi per prova ed errore, ma considerando che non si capisce perché li consideriamo uno alla volta e reciprocamente alternativi. Una follia per normare attività umana sociale così complessa e determinata da variabili contesti. Le forme economiche dovranno pluralizzarsi. Ma soprattutto perdere progressivamente il ruolo ordinativo, che dà ordini, che fornisce l’ordine.

La seconda è che democrazia consuma molto tempo (autoformazione continuata, acquisizione conoscenza, bagno informativo, ridistribuzione quanto più egalitaria possibile di tali acquisizioni e caratteristiche valide per ogni cittadino, capacità e facoltà di discussione e dibattito, pubblico e privato etc.) quindi i cittadini debbono averne più di quanto la formula astratta 8-8-8 neanche in vigore oggi, consenta. Del resto, oggi andiamo senza averne neanche contezza, verso una riduzione della necessità di lavoro umano, per varie altre ragioni, se ne dovrebbe fare di necessità virtù.

Ne consegue che la prima e fondamentale battaglia delle idee dovrebbe avere ad obiettivo la riduzione dell’orario di lavoro, ovviamente salvo il reddito e la facoltà di ridistribuzione dello stesso. Non importa se l’obiettivo è praticabile in concreto, va posto come battaglia culturale per infrangere la depressione acquisita dal “There is no alternative”. Ci si deve liberare dell’introiezione dei limiti di compatibilità del sistema se si vuole combattere il sistema. E si deve sfidare lo stesso sistema prevedendo ed anticipando la certa riduzione di lavoro umano quale prevedibile per lo sviluppo delle nuove tecnologie info-digitali. Così si recupera anche leadership culturale, autonomia di analisi, capacità di parlare di realtà da tutti condivisa.

Una cosa è certa o dedicate tempo a produrre e consumare o a fare politica per trasformare le società e le sue forme ordinative.

Quanto alla funzione fondamentale di dialogo e dibattito la democrazia ha a che fare con la doxa non con l’episteme. Avrebbe anche a fare con gli endoxa di Aristotele, ma non è questo il luogo per parlarne.

Se questo è il modo di intendere il termine-concetto “democrazia” restaurato per riavvio e ripristino, si capirà perché non si riconosce all’attuale forma diritto di uso della sua espressione. La cosa detta democrazia al tempo in cui il concetto è nato, non corrisponde neanche un po’ a quella attuale. Altresì quella con quei principi era democrazia per quanto agli inizi, contradditoria, elementare per molti versi, imperfetta certo. Strano atteggiamento però abbiamo verso quella forma antica eppur gloriosa, una delle cose che fa grande la nostra civiltà, la giudichiamo su un tempo-vita di scarsi due secoli, mentre alle forme del monarca e del tiranno, dell’aristocrazia e dell’oligarchia diamo la storia di cinquemila anni di varianza e varia applicazione.

[La maggior parte delle informazioni riportate su la democrazia ateniese sono tratte da Mogens Herman Hansen, La democrazia ateniese del IV secolo a.C., LED Milano 2003. Con la Costituzione degli ateniesi di scuola aristotelica, universalmente ritenuti i testi più documentati).

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La democrazia reale ha forma, dinamica e ruolo che ha il mercato in economia, un sistema auto-organizzato, l’unica forma conosciuta di sistema adattativo in complessità. Solo che l’analogia è imprecisa. Un mercato è fatto di procedure impersonali, una democrazia è fatta di essere umani intenzionali.

Essa, quindi, risulta la miglior forma per fasi storiche come queste in cui il cambiamento è radicale, continuo, profondo, inedito (non se ne ha esperienza pregressa). Dovendo rincorrere adattivamente tale mondo che corre chissà dove, l’ente auto-organizzato è l’unico che può farcela, anni di studi sulla complessità in più campi questo dicono.

Certo sappiamo quanto tempi di decisione ricattino le procedure democratiche, di contro però una democrazia reale trasmette informazione reale in diretta alle sue componenti che così aumentano coscienza di processo, accettandone meglio incertezze, contraddizioni, ritardi, non esponendosi al malcontento da delusione che ha sempre offerte di esser sanata da qualche malintenzionato politico.

Purtroppo, forme mentali ereditate dalla storia e filosofia politica del XIX secolo, arrivano fino a sognare nuove forme economiche opposte alle vigenti capitalistiche. Ma qualcuno s’è poi posto il problema di come perseguirle? Non so, c’è davvero gente che crede che col sistema repubblicano liberale, arriveranno a costruire una massa critica politica in grado di costruire quel tipo di società? Quel sistema è strutturalmente fatto per riprodurre oligarchie. Che da un macchinario oligarchico spunti fuori un sistema socialista è pensiero magico.

Il primo nostro dovere oggi dovrebbe essere ripoliticizzare la società ed il dibattito pubblico. Venendo da anni ed anni di desertificazione e degrado del politico, tocca alzare la voce ed imporre al dibattito pubblico un riorientamento, un risveglio e richiamo dalla fuga nell’impotenza. Noi non decidiamo davvero più nulla della nostra forma di vita associata, siamo soci passivi. Di contro, sembra che qualcuno pensi che da cinquemila anni di oligarchie, oplà, usando il “metodo x” dimagrisci dieci chili in una settimana, in un mese impari il mandarino, in tre sei verso il Sol dell’avvenir. Se l’alternativa è certa sempre possibile, meglio dirci in sincerità che non è dietro l’angolo. Per questo parliamo di teoria perché senza non c’è azione efficace.

I democratici radicali hanno sempre due fronti. Quello delle oligarchie imperanti e i democratici degenerati, i demagoghi. I demagoghi si travestono da democratici per benefici personali, essere leader adorati, essere eletti a qualche funzione che dà reddito e prestigio, fingersi dalla parte del popolo per poi usare il popolo per diventare oligarchi 2.0 o piccoli tiranni. Occorre evitare che inquinino le posizioni sinceramente democratiche con la loro sciatteria interessata.. Per non parlare di quelli che si limitano a sfruttare disagio psichico e povertà culturale altrui, agitando mondi di oscuri padroni del mondo per spaventare e raccogliere il riconoscimento per aver detto finalmente la tremebonda Verità. Elite, salotti, gruppi di interesse e conventicole certo esistono, si pensi solo ai massoni che le nostre democrazie accettano senza fare una piega ed anzi, qualcosa più che “accettano”. Ma si fallisce diagnosi del mondo a ridurre le sue dinamiche alle intenzioni degli ottimati, oltretutto è fargli troppo onore.

I democratici radicali non debbono ricorrere alla scusa del potere troppo forte per avere ascolto e condiscendenza delle loro richieste, le richieste non si richiedono, si pesano e per pesarle, il democratico radicale dovrà sempre rivolgersi in primis al proprio simile, costruendo massa. Oggi, in politica, abbiamo il riflesso a rivolgerci sempre in alto, ma dovremmo prima rivolgerci a chi ci sta accanto. Le masse poi sono destinate al conflitto, altro che “richieste”.

Alla fine, il problema della democrazia è tremendamente semplice. Una tendenziale eguaglianza a livello di conoscenza ed informazioni su natura e possibilità realistiche della propria società, farebbe dell’intero sociale l’unica realtà naturale che possa gestire sé stessa. Il problema è che questa semina redistributiva molto non la vogliono fare, usano conoscenza ed informazione come proprio “piccolo potere”, magari mentre si proclamano dalla parte del popolo. I tempi tra semina e raccolto vanno spesso anche oltre la singola estensione di vita personale, toccherebbe avere una narrazione che esalti l’eredità che lasciamo come in antichità c’era quella su quella su ciò che ricevevamo dagli antenati. Ci sono da superare i meccanismi di “servitù volontaria” e c’è ovviamente la strenua resistenza delle élite con mezzi straordinari. Infine, son sempre d’intralcio, le piccolezze umane.

Tuttavia, abbiamo modelli a cui riferirci, la chiesa cristiana ad esempio. Non v’è dubbio che l’unico grande teorico della politica culturale strategicamente attiva, Antonio Gramsci, trasse ispirazione diretta dall’osservazione ed analisi del complesso storico della chiesa cristiana che in Italia aveva la sua patria storica. Dalle prime predicazioni alla formazione dei primi piccoli gruppi, agli ordini mendicanti (francescani e domenicani) obbligati ad andare tra la gente ed ottenere riconoscimento, salvando così i destini della chiesa stessa ai tempi in crisi di credibilità e fiducia. A seguire le proprie scuole, l’egemonia dell’immaginario, la vicinanza pratica agli svantaggiati che catturò la fiducia, menti, cuori e braccia. Avviene anche nel mondo arabo e sudamericano. Certo, occorre accettare la dilatazione del tempo, lavorare anche non in vista del proprio tornaconto. Ma è perché pochi iniziarono a loro tempo, che ci troviamo sempre a dover riiniziare daccapo.

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Quella della democrazia radicale, non può che essere una prospettiva lunga nel tempo, da costruire per tentativi ed errori, autocorreggere, sperimentare pronti a decelerare. Ma costruire un percorso significa comunque approcciarlo, farvi primi passi, esplorarlo da subito. Il concetto di “tendere a…” dice che si deve porre sull’orizzonte che si muoverà con noi rendendosi irraggiungibile, deve essere una sorta di “desiderio irresistibile” che ci spinge a rincorrerlo e sebben mai raggiungerlo, muoversi nella sua direzione. Nel cammino però, costruiremo le sue stesse condizioni di possibilità future e le prime forme valide nel presente.

Chi scrive non immagina o sogna un partito, né un movimento politico da accendere chissà come e con chi. Si rivolge ai democratici reali, agli intellettuali più di altri, i costruttori di pensiero. C’è bisogno di azione, altro che di pensiero! Tuonano subito i pragmatici. Peccato che, come genere, ci siamo evoluti per tre milioni di anni, pensando prima di fare o non fare o anche fare e tentare ma poi pensare. C’è bisogno di pensiero ed una volta tanto, costruttivo, positivo, di esercizi di stie critico sono piene le biblioteche. Il capitalismo non lo supereremo mai per rosicchiamento critico-critico. C’è bisogno che l’intelletto torni –en meson-, in mezzo alla piazza lì dove c’è anche il mercato, lì dove c’è la gente. Alzare il livello dell’intelletto generale una priorità per tutti noi. Ognuno faccia il suo, la Via del cambiamento non ha monopoli, stiamo talmente a pezzi che vale tentarle tutte e del resto il modo “prova ed errore” tante volte ha dato dimostrazione di portare benefici. Ai poveretti amanti della matitina rossa e blu, forse converrebbe pensare alle responsabilità che hanno sul dibattito pubblico invece che fare da ammazza idee in piena sindrome nichilista, giustificatoria della propria insipienza. 

Parlando assieme anche di come porre il periodo della necessaria “lunga traversata” a tutto ciò lontano nei tempi, a servizio di un’azione immediata almeno del ripristino dei livelli minimi di democrazia, nell’informazione, nella conoscenza, nella cultura, nell’educazione civica, nel rispetto reciproco, nel ritorno della politica con idee ed aspirazioni, del dialogo. Per ripristinare la vigenza ordinativa del politico ed usare il politico per la trasformazione sociale, non abbiamo altro modo che costruirci una sistema sempre più democratico, nel reale senso del concetto.

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Nei prossimi tre decenni, le società occidentali ma in specie quelle europee, saranno chiamate a profonde trasformazioni adattative ad un contesto mondo del tutto inedito. Questo dà maggiormente il senso di questa nostra perorazione verso una democrazia reale. Ci sono infatti non sottovalutati motivi ideali di fondo, tuttavia l’urgenza è un’altra: solo un sistema autorganizzato mostra facoltà adattive veloci e complessive quali il ritmo del cambiamento imporrà. Porre come esito alternativo la barbarie, non è concessione romantica o catastrofista, è muoversi lungo l’asse ordine o disordine. Una democrazia reale è in grado di gestire un disordine moderato adattandosi ed adattandolo, altrimenti, oltre certi livelli di oscillazione, le richieste imperative di Ordine! a qualsiasi costo, ci faranno ripiombare un qualche tragedia storica quale qui in Europa abbiamo collezionato in abbondanza di casi.

Per liberarci da questa vera e propria coazione a ripetere e sbloccare la nostra evoluzione, abbiamo bisogno di ripristinare il dominio del politico ordinato da un modo democratico che porti i Molti a diretto contatto con la realtà a cui dovremo adattarci modificando le nostre forme sociali, le mentalità, il nostro essere soci naturali di una società di cui dobbiamo definire il comune interesse generale senza tutori, in maniera finalmente adulta, uscendo da servitù volontaria e infantile minorità passiva.

Invitiamo quindi i più che è possibile a considerare la trincea di DEMOCRAZIA o BARBARIE come luogo comune in cui attestarci, lo impone la fase storica come gramscianamente s’imponeva realisticamente la guerra di posizione rispetto a quella di movimento.


[i] FONDAZIONI TEORICHE DI DEMOCRAZIA RADICALE: Esistono almeno due ambiti teorici che muovono da e per questo concetto. Il primo è centrato sul pensiero del filosofo greco-francese Cornelius Castoriadis. Il secondo è una costellazione di filosofi e pensatori di politica che comprende a vario titolo Laclau-Mouffe, con intorno Zizek, Ranciere, Badiou, Negri, Hardt, Deleuze, Lacou Labarthe, Nancy, Abensour, Agamben in parte Foucault e con riferimenti al lavoro di Lacan e Deridda. La posizione di Roberto Esposito ci sembra più mediana tra le due. La nostra iniziativa di politica culturale è orientata dal primo. Il senso quindi di “democrazia radicale” nel nostro caso è semplicemente dovuto alla questione delle radici di significato. Radicale quindi poiché va alla radice in senso genealogico, poiché dovrebbe esser bene comune, non si capisce chi la immagina radicale in un senso estremo della sensibilità politica. Disputarci il senso prima di averla è il miglior modo per non averla, mai. Confesso un certo disagio teorico verso quella costellazione populista, post-moderna, idealista e talvolta platonica, psico-linguistica, a tratti confusa e astrattamente ribellista franco-italiana. Cercando radici, mi tengo il greco.

C. Castoriadis, è stato un filosofo, critico sociale, economista, psicoanalista greco-francese , autore di L’istituzione immaginaria della società (Mimesis edizioni, Milano, 2022) e co-fondatore del gruppo Socialismo o barbarie. Si segnala che, come “economista”, il greco è stato per svariati anni il capo economista (dirigendo e coordinando una squadra di 130 tra economisti, econometristi, statistici ed informatici) dell’OCSE-OECD per la Divisione degli Studi sulla Crescita. Il gruppo “Socialismo o barbarie” agì tra 1948 e 1967, con la collaborazione, tra gli altri, di Claude Lefort e Edgar Morin. Volendo continuare il suo sforzo intellettuale, pur con le nostre inadeguate ed insufficienti forze, riteniamo che oggi la trincea vada posta non sul socialismo ma sulla democrazia nel suo senso ripristinato. Per questo, fa cornice della nostra riflessione l’idea del bivio fondamentale dato da DEMOCRAZIA o BARBARIE.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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3 risposte a DEMOCAZIA O BARBARIE (2/3): LA DEMOCRAZIA RADICALE.

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  2. Alberto Rizzi ha detto:
    • “Il sistema democratico dovrebbe prevedere l’estrazione a sorte.” – Fattibile, ma con gli strumenti informatici di adesso, assolutamente manipolabile ancor più che con quelli analogici: se si dovesse introdurre questo metodo, occorrerebbero “correttivi” simili a quelli impiegati dalla Serenissima, magari aggiornati.
    • “…forse dovevamo abolire le regioni più che le province.” – Qualunque suddivisione si voglia adottare, ricordarsi sempre che più un’entità è piccola, più è gestibile dalla base; più è grande, più è gestibile da poteri terzi: è soprattutto per questo che si vogliono accorpare i Comuni, dove si trova una buona scusa.
    • “I 6000 votanti medi a scrutinio segreto nell’Assemblea generale, erano un quinto gli aventi diritto, ma si esprimevano almeno quaranta volte l’anno non una ogni quattro anni.” – Cerchiamo di ricordarci però che questo stakanovistico ritmo era permesso dal fatto che il lavoro vero e proprio era svolto soprattutto da altri, gli schiavi in primis.

    Certo, volendo fare dell’ironia, potremmo dire che si sta rapidamente tornando verso quella soluzione: non sarà però a beneficio delle grandi masse, ma di chi già – nei fatti – governa…

    • L’ostracismo ovvero l’espulsione dalla convenzione civile di chi non gioca il gioco correttamente…” – Personalmente ho una voglia delle care, vecchie “liste di proscrizione”, che non le dico. D’altra parte non mi sono mai ritenuto democratico, almeno pensando a questa democrazia…
    • “…(la) democrazia consuma molto tempo…” + “Ne consegue che la prima e fondamentale battaglia delle idee dovrebbe avere ad obiettivo la riduzione dell’orario di lavoro” – Più tempo abbiamo a disposizione per noi, meglio è, per carità. Ma ricordiamoci che conoscenza, suo approfondimento e suo campo di applicazione sono soggetti ad un atto di volontà: senza quello non si va da nessuna parte, neanche avendo a disposizione 23 ore al giorno. In altre parole, essendo già al governo, si potrebbe provare a rivoltare il sistema: ma anche così – e fermo restando che prima di un 20 – 25 anni non si vedrebbero risultati tangibili – rimane il fatto che le attuali generazioni di analfabeti funzionali, quel tempo in più lo userebbero per continuare a rincoglionirsi in rete e fuori.

    Solo l’applicazione di questo principio in una società “parallela” potrebbe avere successo in tempi relativamente brevi: ma per il motivo che scritto sopra, non è detto che la platea dei soggetti in grado di esprimere giudizi politici articolati e approfonditi aumenterebbe in maniera significativa.

    A questo punto, dopo le osservazioni di cui sopra, mi viene una domanda: quando lei conclude l’articolo, ricordando che ci aspettano tre decenni di trasformazioni (che, visti gli inizi, a me fanno sinceramente venire i brividi), intende dire che il lavoro che propone di fare, andrebbe fatto nei prossimi decenni in QUESTA società?

    • pierluigi fagan ha detto:

      Certo! Filosofia della prassi ovvero produrre teoria che ci aiuti a cambiare lo stato delle cose. Lo stato delle cose la sconforta? Bene, è sano realismo, tocca dirci la verità (o quella che tale ci sembra) su come stanno, altrimenti come le cambi? Difficile? Certo! Impossibile? Come fa a dirlo prima di provarci?

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