SOGNI DI UNA VITA MIGLIORE. Per una filosofia della transizione.

attenzione-300x300In un precedente post di analisi su gli andamenti di voto, si riconduceva il vantaggio competitivo del M5S, al fattore speranza. Proprio oggi, il blog di Beppe Grillo titola l’intervento del giorno “I numeri della speranza” presentando il nuovo Parlamento italiano che diventa il più giovane del mondo occidentale ed al quale M5S contribuirà non solo svecchiando decisamente l’anagrafe, ma anche qualificandolo con un maggior numero di laureati e donne. Queste novità portano speranza, ma in cosa si spera e cos’è la speranza?

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Ernst Bloch è stato un filosofo tedesco (1885-1977) la cui opera più nota Das Prinzip Hoffnung, (Il principio speranza, Garzanti, Milano, 2005 che qui citeremo insieme a Lo spirito dell’utopia, Rizzoli, Milano, 2009) doveva inizialmente chiamarsi “Sogni di una vita migliore”. Speranza ed utopia sono le due coordinate dello sviluppo del pensiero di Bloch che di per sé sarebbe poi nientemeno che un marxista ateo, sebbene posto ai confini della galassia dell’interpretazione classica di queste due tradizioni. Partiamo dall’utopia.

L’utopia è un concetto del tutto ostracizzato dal dominio del razionalismo, del realismo, del materialismo e financo dal liberalismo. E’ questa una delle tipiche manifestazioni dei dogmi invisibili delle immagini di mondo. Infatti l’utopia è dicotomica al razionalismo, al realismo ed al materialismo solo se l’immagine di mondo è governata dal principio di esclusione (o – o) e quindi dal principio di Assoluto (è assolutamente vero o a o b). Per Bloch, l’utopia è del tutto razionale intendendola come prefigurazione del possibile, del ciò che non è ancora ma anche di ciò che si vorrebbe fosse e che è possibile sia; è realista in quanto “utopia concreta” (termine oggi molto usato nell’ambito della decrescita latouchiana) cioè di “nuovo possibile”; è materialista nel senso neoaristotelico di materia in cerca di forma. Il liberalismo invece, ne osta la coltivazione sia perché implicitamente materialista e razionalista, sia perché è, senza averne piena coscienza, intriso di presunzione finalista (presunzione rivelata in quel “La fine della Storia e l’ultimo uomo” di F. Fukuyama, Rizzoli, Milano, 2003). Per i liberali (liberalisti, liberisti e tutta la confusa tribù degli adoratori espliciti della Libertà, ma impliciti del ben più vile mercato), il loro sistema è il “migliore dei mondi possibili” e quindi l’utopia non ha ragione di esistere. Da qui, addirittura una scomunica liberale, ovvero la sentenza (K. Popper) per la quale l’utopismo conterrebbe la prefigurazione addirittura del totalitarismo. Anche Marx censurò l’utopismo socialista (E. Hobsbawm, Come cambiare il mondo, Rizzoli, Milano, 2011; Capitolo 2: Marx, Engels e il socialismo premarxiano), poiché desideroso di dare basi scientifiche a quel tipo di orientamento. In quel caso l’utopismo sconfinava nell’idealismo.

La grande stagione del pensiero utopico,  si addensa intorno all’omonima opera di Thomas More, uscita circa nel 1516 che ne battezzò l’esistenza come concetto ex novo. All’Utopia di Moro si affiancano nella trilogia fondante questa piccola tradizione, La nuova Atlantide di F. Bacon (1627) e La città del Sole di T. Campanella (1623). Capostipite del genere, la Repubblica di Platone mentre il seguito perde le caratteristiche filosofiche per assumere quelle letterarie, fino a farsi genere a sé con la fantascienza, non prima di aver partorito anche il suo simmetrico contrario: la distopia, l’utopia negativa stile Matrix. La distopia è un genere tipicamente anglosassone e prefigura quasi sempre l’esatto contrario della libertà come fu per J. London, H.G. Wells, A. Rand, A. Huxley, G. Orwell  fino a Bradbury, Vonnegut, Asimov, Dick, Gibson e molti altri. Al filone letterario si somma poi quello cinematografico assai ricco. A ben vedere, la trilogia utopica iniziale, si colloca in quel periodo intermedio tra Medioevo e  Modernità che come tutti i tempi di transizione non ha nome. L’utopia sembra quindi sorgere quando come diceva Gramsci: “il vecchio muore e il nuovo non può nascere” o diremo noi, non è ancora nato ovvero in quel mentre si transita tra un ordine ed un altro. Poiché anche noi siamo in tempi di transizione, l’utopia è un tema da riapprocciare non curandosi delle scomuniche bipartizan che l’hanno colpita.

La rivalutazione dell’utopia per Bloch transita attraverso la nuova coniazione concettuale dell’”utopia concreta”, diversa se non opposta a quella dell’”utopia astratta”. L’utopia “non è fuga nell’irreale; è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione”, un pensiero del ciò che potrebbe e dovrebbe essere che al bilancio pessimista del realismo, oppone l’ottimismo della volontà nel fare ciò che sembra comunque possibile anche se non facile. E’ questa la “posizione anticipatrice” ovvero immaginare il mondo nuovo proprio mentre il vecchio è all’apice o nello sprofondo del suo disordinato sgretolamento. L’utopia sarebbe dunque il positivo del catastrofismo, entrambi vedono l’orizzonte lontano che gli altri non vedono, l’utopia in forma costruttiva, il catastrofismo o cassandrismo in forma critico-negativa. Il termini politici, l’utopia di Bloch sarebbe un programma politico a lunga scadenza poiché l’utopia è il polo lontano che si prefigura nella contingenza e il programma politico sarebbe il ponte che lega il qui ed ora con il là futuro. L’utopia quindi non è impaziente poiché include il tempo. In questo senso è un realismo complesso, poiché è indubbio che della realtà fa parte il tempo.  C’è in Bloch, quel in comune ad un certo neo-marxismo, critico dei dettami più meccanici del materialismo storico che si espressero già in Storia e coscienza di classe di G.Lukács (amico di Bloch) e nell’eretico K. Korsch. Una pesante sottolineatura della necessità di mantenere sogno e desiderio del futuro, anche attraverso il pensiero (arte, religione, filosofia) nel mentre la prassi manipola il presente e tenta di ridurre la distanza tra lo smarrimento in cui si è e la patria sognata in cui si spera un giorno di giungere.  La nebulosità del concetto chiaramente utopico di comunismo, risente di questo divieto all’immaginazione, alla prefigurazione. Non averlo compiutamente e liberamente immaginato in qualche particolare in più che non i vaghissimi richiami ad una società senza classi in cui si sarebbe realizzato chissà come l’ “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (per altro un copia incolla di una altra grande opera utopica, gli Atti degli apostoli) è stato foriero di quegli inevitabili errori di messa in pratica nel comunismo sovietico che ne annullarono la desiderabilità.

Bloch scrive il suo capolavoro sulla speranza tra il ’38 e il ’47, (per pubblicarlo poi tra il ’53 e il ’59), proprio lì dove bisogna avere il “paradossale coraggio di profetizzare la luce proprio nella tenebra”, lì dove bisogna avere “fiducia nel giorno pur vivendo nella notte”. Bloch è un promotore dell’utopia concreta che fiorisce come luce alla base di quel faro in cui tutto è ancora buio perché anche il precedente Spirito dell’utopia, venne redatto tra il ’14 e il ’17 sebbene poi pubblicato nel ’18, ’24 e ’64. Due opere scritte nel buio della guerra per scorgere la luce che doveva prima o poi arrivare. L’uomo non “ha” speranza ma “è” speranza poiché sistematicamente incompiuto, tendente quindi sempre a realizzare quel qualcosa che gli manca. Un uomo reale e presente, che però è accompagnato sempre da il “sogno del mondo” ad occhi ben aperti, con la speranza indomita di realizzare la sua utopia concreta. Per Kant non c’è alcun finale a questo eterno incedere sul ponte che conduce all’utopia (il progresso illimitato nel kantismo), una patria che forse come la linea d’orizzonte, si sposta ad ogni nostro spostamento in avanti ma cionondimeno ci da la rotta del nostro sogno ad occhi aperti. Per Bloch invece ogni Odissea presuppone la sua Itaca. E L’Itaca blochiana, la “patria” utopica in cui giungere è lì dove il mondo è giusto, dove l’uomo non è alienato, dove l’ordine non è quello del potere ma della democrazia reale in atto.

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Nel buio della transizione, lì dove le identità si smarriscono perché prive dei riferimenti del contesto in cambiamento, si procede a tentoni. L’emozione deve  allora cominciare a coltivare la speranza, la ragione deve cominciare a prefigurare l’utopia. Il sogno ad occhi aperti di una vita migliore deve produrre il ponte, il progetto politico che porta fuori dal buio e incammina verso la luce. Le ultime elezioni hanno portato in dote due aperture sia verso la speranza, sia verso l’utopia. Chi sarà in grado di coltivarle?

Nota: Le citazioni di Bloch sono prese dal IV° volume della Storia della filosofia di Abbagnano-Fornero-UTET

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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