ONTOLOGIA DELLA RELAZIONE (4). LA POSIZIONE CONVENZIONALISTA.

[La nostra ricerca sull’ontologia della/e relazione/i proviene da questa prima puntata, poi la seconda, poi la terza]

Nel suo “Il mondo messo a fuoco”[1], Achille Varzi esplicita una posizione epistemica rispetto all’ontologica che si definisce “convenzionalismo”, una via mediana tra il realismo ed il nominalismo, spostato verso quest’ultimo. Di cosa si tratta?

9788842092056Il convenzionalismo è una posizione che ha origini in epistemologia all’ inizio del XIX° secolo ed è riferita alla relazione tra verità e realtà, ma la sua struttura ha un antico passato.  In pratica, si ritiene che la verità non solo dei linguaggi ma spesso anche delle nostre teorie, sia definita tale per convenzione umana. Già Eraclito ne faceva cenno e più diffusamente Democrito. Per i Sofisti, l’intera politica ed il sistema giuridico sarebbero state convenzioni umane, per Protagora più o meno tutte le definizioni di verità sarebbero relative al metro umano. Platone compie la sua scelta essenzialista guidata dalla dialettica, nel Cratilo, che inizialmente presenta i due corni del -termine per natura- e del -termine per convenzione-. Per gli Scettici, la morale era del tutto convenzionale. Nel Medioevo, si ripropone nella famosa -disputa su gli universali- in quella che è detta posizione nominalista, esemplificata da Roscellino e G. di Ockham. Convenzione politica tipica è il “contratto sociale” di Hobbes che torna in Locke e poi in Rousseau e Kant, anche se in diversa forma. Posizioni contrattualiste e quindi convenzionaliste in politica furono già in Gorgia, Epicuro e lo scettico Carneade. Tra i recenti, “Una teoria della giustizia” di J. Rawls. Hume anche, accenna alle convenzioni sul valore economico e sul linguaggio umano. Di Searle abbiamo già parlato qui; Quine, Sellars e Goodman, per citare la tradizione anglosassone, vi girano attorno.

In linea generale e rispetto alla verità, si colloca diversamente dalla posizione realista (esistono verità di natura, detta anche –de re-) poiché tende verso la posizione nominalista (le verità sono definite puramente dai sistemi di idee, detta anche –de dicto-). Si differenzia però dalle forme più estreme ed idealiste di nominalismo per il fatto che la “convenzione” stipulata entro un sistema di idee comuni, deve rimanere certo all’interno di alcuni vincoli, di logica, coerenza, buon senso, ma anche di compatibilità con la realtà in quanto tale. Compatibilità però non significa precisa corrispondenza come pretendono i realisti. Nelle parole di W.O. Quine: “E’ una cultura grigia, nera di fatti e bianca di convenzioni. Ma non ho trovato alcuna ragione sostanziale per concludere che vi siano in essa fili del tutto neri o altri del tutto bianchi”. In realtà le posizioni sono nere per i realisti e bianche per i nominalisti idealisti, la posizione convenzionalista nasce grigia di per sé, lungo i valori intermedi tra 0 e 1, come nella logica fuzzy. Torneremo dopo sulla miglior precisazione dei vincoli a cui sarebbe soggetta la verità per convenzione.

download45Il catalogo delle convenzioni, si allarga come detto ai primi del ‘900, quando J.H. Poincaré vi pone anche la geometria, dopo che la comparsa delle geometrie non euclidee avevano falsificato almeno il quinto postulato di Euclide e la presunzione kantiana di verità sintetiche apriori. P. Duhem allarga il campo, introducendovi anche la teoria scientifica in quanto tale, sebbene “l’esperimento cruciale” portava al necessario momento di rapporto col dato empirico, per quanto questo confermava e falsificava l’intero costrutto teorico e non l’ipotesi specifica. Dopo quella di E. Mach (secondo il quale il significato delle teorie scientifiche tende a fare economia cognitiva nella rappresentazione dei fatti, “la fisica è l’esperienza ordinata economicamente”), queste posizioni furono elaborate in sincronia con la doppia rivoluzione quanto-relativista che minò le precedenti certezze della regina delle scienze, la fisica.  In seguito, il fallimento del fondazionalismo di D. Hilbert verificatosi con i teoremi di K. Godel, portava nel convenzionalismo anche la matematica. R. Carnap vi iscriveva anche gli assiomi della logica ed il linguaggio in compagnia del “secondo” Wittgenstein per il quale ogni linguaggio è una specie di gioco.  La posizione di Carnap verrà anche condivisa da altri empiristi logici come M. Schlick e H. Reichenbach, quella di Wittgenstein verrà discussa anche dai filosofi del linguaggio comune come J.L. Austin e H.P. Grice. la-struttura-delle-rivoluzioni-scientifichePosizioni convenzionaliste di ritrovano anche nell’epistemologia di T. Kuhn, mentre dello stesso tipo può dirsi la teoria sul linguaggio e sull’intenzionalità di M. Tomasello, psicologo evolutivo co-direttore del Max Planck Institute di Lipsia. Il concetto di “convenzione umana” presuppone stipulazione intenzionale, ricerca dell’accordo, reciprocità, condizionalità, quindi una società regolata da un principio di democrazia completa. In questo senso, anche la Teoria dell’agire comunicativo di J. Habermas rientra nel genere, così come vari tipi di relazionalismo, la Teoria dell’emancipazione umana di Castoriadis, il neopragmatismo di Rorty.  Nel caso della verità, si tratta cioè di metterci d’accordo tra noi e tra noi ed il Mondo[2].

= 0 =

La questione del convenzionalismo è rilevante in ontologia  come posizione alternativa al realismo anche rispetto al fatto che i confini, i perimetri di ciò che assumiamo come “cose”, siano netti e definiti -oggettivi- nel mondo (realismo)  o siano a volte arbitrari, a volte vaghi, a volte sovrapposti di modo che s’impone una nostra decisione (collettivamente prese per “convenzione”) sul come li definiamo. images86Per come la esprime Varzi (citando M. Devitt), la questione se gli oggetti e le teorie che vi riferiscono, siano nel mondo o nelle immagini di mondo. La questione è oggi oggetto di una decisa riproposizione realista, dopo il lungo sviluppo delle posizioni post-moderne che originerebbero dal fatidico “non esistono fatti ma solo interpretazioni” di Nietzsche.

Si noti il fatto che, come spesso accade, la nostra limitata risoluzione nell’espressione dei concetti e delle nostre opinioni in merito, estremizzi (nero-bianco) le posizioni a scapito dell’intermedio. La posizione “esistono fatti crudi ed oggettivi” in realtà è assai poco sostenibile visto che chi fa questa affermazione è un soggetto che non può uscire dalla sua posizione soggettiva per  affermare l’oggettività degli oggetti. Abbiamo decine di conferme sul fatto che ciò che ritenevamo lampante ed oggettivo, si sia poi rivelato diverso da come eravamo sicuri fosse e maggiormente procede lo sviluppo delle scienze cognitive, anche i dati immediati di percezione, risultano condizionati dalla nostre particolari facoltà percettive. Il recente sviluppo delle scienze cognitive aggiorna continuamente il catalogo di questi sfalsamenti percettivi e cognitivi[3]. La posizione “non esistono fatti ma solo soggettività interpretanti” non è altrettanto sostenibile dal momento che per interpretare deve pur esistere qualcosa che sollecita la nostra interpretazione. Il problema è nella relazione Io e Mondo, stante che cosa il Mondo sia in sé per sé, all’Io è precluso dire dalla sua posizione particolare e stante che per quanto particolare, questa posizione è immersa in un Mondo che a noi risulta pieno di oggetti e di fatti. Quello che a noi sembra più probabile ed interessante è assumere questa indeterminazione della relazione e dire che la nostra decisione di ritagliare il mondo in un certo modo è una interpretazione che agisce all’interno delle nostre immagini di mondo, stante che queste sono riferite ad un Mondo che esiste in sé per sé, sebbene non vi combacino mai perfettamente.

La convenzione –esiste una palla di fuoco in cielo che ci scalda ed illumina, ciò che noi chiamiamo “sole”- è longeva e fino ad oggi non falsificata. La convenzione –essa ruota nella semisfera celeste, nascendo ad est e tramontando ad ovest– è stata lungamente creduta vera e poi falsificata (in realtà siamo noi che ruotiamo). Ma a sua volta, la si può ritenere falsa secondo l’immagine di mondo scientifica, ma si può anche continuare a ritenerla vera all’interno delle “convenzioni” dell’immagine di mondo di senso comune con la quale organizziamo i dati dell’esperienza immediata nei nostri comuni contesti sociali. download678Essendo quella tra Io e Mondo una relazione, per dare un qualsivoglia ordine senza il quale cognizione e comunicazione intersoggettiva girerebbero in tondo, dobbiamo stabilire un sistema di riferimento, questo sistema è stabilito per convenzione. Queste convenzioni sono date in un ampio range che va dal totalmente arbitrario ma socialmente accettato, al più precisamente attinente a cose che così ci sembrano essere nel Mondo in sé. Stante che anche questa percezione del -Mondo in sé-, potrebbe essere distorta dalle nostre peculiarità percettive, cognitive, epistemiche. Se quindi il sistema di riferimento è centrato nell’Io, non sarà da questo punto di vista decentrato che diremo cose equilibrate sulla relazione che prevede un Mondo oltre l’Io. Se lo centriamo sul Mondo, dobbiamo sempre considerare che questo è il -Mondo per noi- e che noi si dica di un -Mondo in sé per sé- è dire come se noi non fossimo lì a dire di altro da noi ed il Mondo dicesse di per sé. Evadere da noi non ci è possibile, tanto vale farsene una ragione ed occuparci dei modi in cui torniamo le lenti con le quali ci facciamo una immagine del Mondo.

1747377Varzi propone anche le entità vaghe, quelle per le quali il problema del confine mostra sempre un alto grado di arbitrarietà, i confini di una città, dove inizia quel monte, a quale numero di capelli un individuo è calvo, da che ora è notte[4] etc. . Nel senso che le cose ci sembrano chiare quando le vediamo nel loro centro, nel loro “fuoco”, ma diventano vieppiù problematiche quando ci spostiamo verso i confini che dovrebbero separare il loro essere, dal loro non essere.  Si potrebbe poi dire del problema dell’espianto, ovvero gli enti che preleviamo dalla loro condizione ontologica intrecciata, per avvicinarli alla nostra attenzione focalizzata, che a quel punto, si esercita su qualcosa la cui essenza viene determinata al netto dell’essenza relazionale che ogni cosa ha col suo intorno. Oppure dell’attribuzione delle fatidiche proprietà essenziali o accidentali, della persistenza e del cambiamento. Insomma, sia per dire -questo è-, sia per dire -cosa è-, punti di vista privilegiati ed oggettivi non ce ne sono. Non sono le cose a dirci se e cosa sono. L’indeterminazione di questa relazione, si scioglie per convenzione.

Esiste una progressione di complessità nelle distinzione tra confini naturali (de re) ed artificiali (de dicto). Le cose materiali del Mondo sono meno sfumate di quelle sociali e degli eventi,  che sono meno sfumate di quelle del regno dell’Io, dove si incontra a volte, il puro arbitrio. Tanto più l’Io è tratto a convenire con altri Io e col Mondo, tanto più si riduce l’arbitrarietà. image_bookMa non si riduce mai del tutto. Platone (Fedro, 265d ) pensava ci fossero sensi obbligatori da rispettare quando si ritaglia l’essere, così come esistono tagli obbligati ai quali deve riferirsi il macellaio. Un lungo sviluppo della macelleria ontologica e della riflessione su i suoi presunti vincoli, giunge infine con  U. Eco, a proporre che “tagli obbligatori” a ben vedere non esistono proprio, ma nell’ambito di una certa pluralità di possibilità esistono comunque sensi vietati. Ma secondo Varzi, anche questi divieti non sarebbero propri del tessuto dell’essere, ma delle nostre convenzioni, per quanto di buon senso ci sembrino. Deleuze usò l’espressione “tagli nel caos”[5], per sottolineare la natura a casaccio delle nostre ontologie, stante che tra caso e caos la parentela è stretta.

= 0 =

Giungiamo allora a cercare di metter un po’ d’ordine nella nostra opzione convenzionalista poiché se la si definisce solo in opposizione al realismo, essa va a confondersi con una eterogenea famiglia che include anche i “parenti pazzi”, quelli come Berkeley che pensava noi si sia intrappolati in un Mondo dell’Io, come monadi senza né porte e finestre, tradizione che ha dato vita ad un ampio bestiario che va dai demoni cartesiani, ai cervelli nella vasca, a Matrix. C’è dunque una distanza anche da questa posizione idealista (bianco), simmetrica a quella realista (nero). Non è tutto Mondo, non è tutto Io. Quello che invece sembra esserci è relazione e se ci sono relazioni ci sono relata, ci sono Io (sociali) e c’è Mondo, con i primi che dipendono ontologicamente dal secondo, che epistemicamente dipende dai primi.

KOSKO_fuzzy0Una ontologia delle relazioni quindi, si dice in molti modi. Per il fatto che gli enti (cose, eventi, idee) sono fatti di relazioni, per il fatto che si definiscono avendo relazioni tra loro e con i loro contesti. Per il fatto che noi li si definisca tali all’interno di convenzioni date dalle relazioni cognitive che ciascuno di noi ha nella propria testa (in relazione al proprio corpo) e che collettivamente abbiamo nelle nostre società e culture (immagini di mondo). Il tutto all’interno della situazione principale, che è la relazione tra Io e Mondo, al fine di vivere al più a lungo ed il meglio possibile, fine che condizione l’arbitrarietà totale delle convenzioni.

La verità è il principio di discriminazione ordinativo delle immagini di mondo che gruppi di Io condividono ed è oggetto di contrattazione tra gruppi umani e se riferita a come il Mondo è, passibile di falsificazione almeno per le costruzioni generali.   Non ci sono sensi obbligati e non ci sono sensi vietati, ma pratiche convenzionali socialmente stabilite per dotarci di immagini di mondo adattative al mondo, all’interno di quella che è la cosa più importante per noi, la situazione principale. Poiché le immagini di mondo servono sia ad adattarci reciprocamente, sia ad adattarci collettivamente al Mondo, la loro arbitrarietà ha dei limiti, entro questi limiti c’è la contrattazione della convenzione a cui ci sottomettiamo “liberamente[6]”. Una ontologia delle relazioni è quindi anche una ontologia che assume costitutivamente il fatto che essa scaturisce da relazioni dialoganti che stabiliscono le opportune convenzioni. Infine, una ontologia delle relazioni si occuperà anche di quelle zone grigie che mescolano i toni puri, ad esempio, delle dicotomie. Molte dicotomie di cui ci serviamo nel categorizzare, confondono l’utilità epistemica (semplificante) con la realtà ontologica (complessa) e l’idealismo (in questo senso anche il “realismo” è un idealismo) che affligge le nostre immagini di mondo, speso proviene da questa pulsione manichea di antica data, la pulsione cognitiva di ipostatizzare le differenze nette, per vedere chiaro e distinto lì dove c’è nebbia all’imbrunire. Ma la nebbia non va intesa solo come una cataratta cognitiva, ma come condensa che aleggia tra le cose stesse. Non è la notte in cui tutte le vacche sono nere, ma neanche l’accecante sole della verità che incontriamo fuori della caverna.

Olismo_mSi deve altresì porre la questione in termini di immagini di mondo poiché è nell’intero di queste che si definiscono le cose e le procedure per dire che quella parte dell’essere è -una- cosa (evento, idea) e che cosa è ed è altresì, spesso, l’intera immagine di Mondo ad andare a giudizio al tribunale della realtà[7].  Altresì si dovrebbe anche porre la discussione sia su i postulati che le fondano[8], sia sulle logiche di potere che le affermano come convenzione accettata. Per un convenzionalista, la sua è l’unica vera posizione “realista” poiché pensa che è proprio così che sino ad oggi sono andate le cose nella contrastata storia sulle verità e le opinioni. La lunga dittatura dell’essenzialismo e della presunzione di una verità, unica, semplice, assoluta, ha invece imposto l’etichetta di realtà a se stessa, in combutta con i propri simmetrici-inversi idealisti che sono altrettanto convinti dell’unicità, semplicità ed assolutezza della verità solo partendo dal considerare realtà l’idea.

Varzi ne conclude che i confini, ma più che altro la convinzione esistano –de re-, porta al diritto della guerra, la guerra per difenderli, per ampliarli, per imporre la mia convenzione alla tua. Invece la convinzione esistano solo per convenzione, ci obbliga a confrontare i nostri –de dicto-, sino a che quello che dico io corrisponde a quello che dici tu e che quello che entrambi conveniamo sia utile per noi in rapporto al nostro adattamento, sociale, naturale, culturale, politico, esistenziale. L’unico confine reale che esiste, è quello che separa la mia visione del mondo, dalla tua[9], confine che non determina guerre, ma dialogo.

9788889490891Tale atteggiamento ontologico, porta a sovrastanti metafisiche relative che impalcano plurali immagini di mondo, tra loro dialoganti. La natura della verità e della filosofia allora, è una pratica il cui potere di definizione è nella condivisione, un potere che non ha altra forma che quella circolare ed orizzontale, ovvero la pratica dialocratica. Fuori della convenzione consapevole, c’è solo l’arbitrio, fuori della contrattazione transindividuale c’è solo volontà di potenza. La verità è una ipotesi condivisa su come le cose realmente stanno. Il potere di definirle va contrattato, stabilire come, è la convenzione.

 

[La nostra ricerca sull’ontologia della/e relazione/i continuerà con la quinta puntata e proviene da questa prima puntata, poi la seconda, poi la terza]

= 0 =

[1] A.C. Varzi, Il mondo messo a fuoco, Laterza, Roma-Bari, 2010

[2] -Mondo- lo diamo maiuscolo in quanto lo si intende come “concetto”, ovvero come tutto ciò che c’è.

[3] Sembra che noi si pensi due posizioni entrambe errate. Dal punto di vista degli organismi costruiti per adattamenti successivi (che alcuni chiamano “evoluzione”) non è logico pensare né che questi travisino sistematicamente l’imput esterno (altrimenti sarebbero disadattati), né è certo che si sia sviluppata una perfetta identità tra natura percettiva e natura emittente. Noi siamo indifferenti ed ottusi a quasi tutto lo spettro elettromagnetico (tranne quello della luce) perché non è nostro interesse adattativo esserlo. Le farfalle hanno invece visibilità dell’ultravioletto, i serpenti dell’infrarosso, noi vediamo a 30°, le pecore a 150°. Ogni essere è collegato al Mondo ma nessuno sembra esserlo in modo perfetto.

[4] “Vaghezza” da p.672 di Storia dell’ontologia, a cura di M. Ferraris, Bompiani, Milano, 2008.

[5] Questa idea del caos, starebbe a significare che il Mondo è disordine e l’Io colui che vi cerca (o impone) l’ordine. Questa idea proviene dal nostro profondo passato e probabilmente, manifesta il disagio che l’Io incontra nella sua relazione col Mondo. In verità non sembra esserci nessun caos, l’essere ha sempre una sua forma d’ordine, altrimenti semplicemente, non sarebbe. L’espressione quindi, purtroppo perdendo la sua bellezza evocativa (pare esista un principio di indeterminazione tra “belle” espressioni ed espressioni “corrette”) , andrebbe riformulata come “apporre un ordine ad un altro ordine”, questo è ciò che facciamo entificando. Il “caos” è l’ordine che noi non comprendiamo.

[6] I limiti dell’arbitrarietà totale delle immagini di mondo sono dati sia dal principio di coerenza interna alle stesse, sia dalla contrattazione collettiva, sia nell’intero, dal (vago) principio di rispondenza tra idee e fatti del Mondo. Noi agiamo nel Mondo a seconda delle forme dei nostri sistemi di idee, quello che pensiamo limita e condiziona quello che facciamo, quello che facciamo ci torna indietro come feedback dal Mondo. Ad esempio, se adottassimo un paradigma idealista estremista di tipo berkeleyano, non ci sarebbe comunicazione intersoggettiva (e l’apparente coordinamento inter-umano sarebbe un ordine prestabilito da Dio, come nelle monadi leibniziane). Poiché questa idea è contraria in modo manifesto a ciò che è il Mondo ed a come lo esperiamo, essa è fuori dai requisiti minimi di corrispondenza, in questo senso è fuori dai limiti. Sulla libertà che ci è data nello scegliere le nostre immagini di mondo andrebbe fatto un discorso a parte, discorso che lasciamo sospeso e per questo virgolettiamo il termine.

cop[7] Questa posizione è anche nota come “olismo Duhem-Quine”. Duhem la riferiva alle teorie fisiche, intese come insieme teorico e non ipotesi singola. Queste vanno al tribunale della verificazione-falsificazione come un intero e non separatamente nelle loro parti componenti. Quine la riferiva a tutti gli edifici della conoscenza umana ma poi si è in particolare soffermato su quelli linguistici. Detto anche –olismo della conferma-, per le immagini di mondo (gli edifici della nostra conoscenza scientifica e non, collegati al linguaggio che li istruisce), significa che una immagine di mondo per quanto apparentemente sbilenca e vieppiù malfunzionante, rimane convenzione fino a che i gruppi umani non decidono di sostituirla e lo fanno, solo quando la somma delle sue inutilità o disutilità adattive, diventa insostenibile. Si dovrebbe parlare in questo caso di “fallimento adattativo”. Così accadde nel Medioevo, così accadrà -al momento giusto- con la Modernità. Purtroppo il “fallimento adattativo” comporta una qualche catastrofe che porta a una qualche contabilità del dolore umano, come revisionare le convenzioni -prima- che queste manifestino tutta la loro potenza negativa è la sfida che abbiamo davanti nei “nostri tempi”.

[8] Essendo infondabili su verità certe ed eterne, come l’intera storia del pensiero umano dimostra, le verifiche dovrebbero concentrarsi sulla valutazione dei prezzi che una certa impostazione comporta. Credere vero a) e non b), porta ad una apertura ben determinata, che è sempre anche una chiusura altrettanto determinata. Nel modello “se … allora”, il se è ipotetico ed è una scommessa. Nessuna scommessa è gratuita, neanche (e soprattutto) quelle di tipo pascaliano.

[9] Il discorso sulla verità e sul ruolo indispensabile che gioca nelle nostre relazioni dialoganti, il discorso è certo più lungo e complesso. Quello che qui si sostiene è che ognuno di noi, io stesso che scrivo queste cose, siamo sempre e convintamente sicuri di star dicendo la verità e che la verità è quella e non un’altra. Nessuno può pensare di cambiare questo atteggiamento. Quello che qui si sostiene e di continuare a farlo (non essendo realistico pensare di far diversamente), ma su uno sfondo di consapevolezza e di apertura al fatto che così ci pare, ma probabilmente, così non è (non è precisamente, non è completamente. La completezza dei discorsi quando si parla di -verità- o -libertà- o -bellezza- o -giustizia- è sempre sotto-determinata).  Poiché le nostre verità, la logica che usiamo per disboscare i ragionamenti ed il linguaggio che usiamo per oggettivarli, sono tutte ampiamente sotto-determinate, anche il -così non è-, va inteso come un -così non è- “precisamente”, “completamente”, “sempre”, “dappertutto”. Anche se molto utili nel discorso comune, i cosiddetti “quantificatori assoluti” andrebbero eliminati dai discorsi onto-meta-epistemici ed in definitiva, dalla filosofia. Che “tutto è relativo” sia una dichiarazione auto-contraddittoria è dato dall’uso di “tutto”. Una posizione relativistica non può assumere quantificatori spazio-temporali (sempre-mai, tutto-niente) assoluti di default, questo è auto-contraddittorio.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
Questa voce è stata pubblicata in democrazia, filosofia, ontologia e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.