LA QUESTIONE DELL’EGEMONIA NEL XXI SECOLO. Politica e cultura ai tempi del mondo disperso.

Egemonia è antico concetto greco che si pose il problema di come una parte minore eserciti potere anche indiretto e spesso guida più che comando, su una parte maggiore. Era di origine militare. Poi Gramsci lo trasferì nell’agone culturale.

Lì, nonostante le obiettive contraddizioni sociali che avrebbero fatto pensare ad un rapido sviluppo del discorso e sviluppo politico comunista e socialista primo Novecento, la presenza di una forte egemonia delle classi dominanti, impediva il contagio delle idee e la loro trasformazione in azione politica collettiva. Gramsci ragionava a griglia di classi, aveva una ideologia, sostenne l’idea del “soggetto collettivo” fatto di partito operante culturalmente, socialmente, politicamente in riferimento alla classe sociale di riferimento, potenziato dagli intellettuali. Ma lo invitò a dar battaglia per l’egemonia prima di realizzare i suoi progetti concreti, proprio per creare le condizioni di possibilità per ottenere quel fine. Il campo delle idee e del loro pubblico discorso, discussione e condivisione, andava emancipato dal meccanicismo sotto-sovrastrutturale, roba da meccanica newtoniana tipo rivoluzione industriale.

Non so quanti di voi sanno dell‘estremo successo che questo concetto ha da decenni nella cultura politica ed intellettuale americana. Da W. Lippman e la nascita delle Relazioni Pubbliche, prima addirittura col nipote di Freud Bernays, fino a J.Nye ed il suo soft power ora smart power, il coro pubblicitario, serie e televisione, il controllo dell’immaginario, fino il porno, Marvel, Hollywood, la musica e molto, molto altro. L’intera costellazione dei think tank, fondazioni, Council, Fondazioni, giornali e riviste, convegni e dibattiti, libri, accademici, vi si basa, da Washinton al mondo, quantomeno occidentale. Tutta la costellazione dei servizi di sicurezza ed informazione americana ne è formata. Si studia nelle università, l’hanno sezionato da Ellul a Chomsky. Ne pariamo tutti i giorni riferendoci al coordinamento stalinista del mainstream. L’intero Internet ne è l’infrastruttura, i social ne sono i nodi. L’universo media in cui siamo immersi come girini nello stagno, ne è il contenitore ultimo.

A questa egemonia invincibile, l’area critica cosa oppone?

In genere, il rimpianto delle scomparse condizioni di possibilità esistenti dopo Gramsci. Un intero partito, il Partito Comunista Italiano, ne conseguì la lezione. Giornali, riviste, associazioni, presenza nella scuola, nel teatro, nel cinema, nell’editoria, naturalmente partito (nazionale e territoriale diffuso) e sindacato. Il PCI arriverà addirittura ad un 34,4% dei suffragi nel 1976, un inedito nella sfera occidentale. Ma nella sfera del discorso e della cultura, stante che la cultura era struttura importante della vita pubblica, il peso ad alone era anche maggiore. Lo capì Berlusconi, il quale, provenendo empiricamente da una stessa sensibilità quasi animale per il discorso, la persuasione, la fascinazione (ce l’hanno tutti i venditori di qualcosa), attaccò frontalmente con cosce, risate, disimpegno, liberazione dalla pesantezza catto-comunista, liberazione degli istinti, dei vizi privati che farebbero una inedita pubblica virtù: aumentare il benessere e la ricchezza. Divertendosi pure.

La plumbea e triste cappa di autoconsapevolezza del realismo contrito che portava la coscienza politica anni ’70 e relativa frizione sociale, veniva squarciata da “”Vamos alla playa!” con uno sfondo di promessa d’accoppiamento e successo sociale da esibire.

Altresì, i figli della stagione precedente, caduti ormai in un buco nero di sconforto ideologico per crollo della realtà sotto forma di Muro e poi Stato sovietico, per quanto non certo questo un reale riferimento politico concreto, hanno da lì in poi rimpianto le certezze del sistema classe+parito=soggetto. Niente soggetto, niente azione politica, quanto alla “classe”, vattelapesca oggi come è oggi la partizione sociale dove la psicografia soverchia la logica sociodemografica.

Si possono portare avanti progetti di egemonia o sfida ed anche solo minimo contrasto, senza i dispostivi classe+partito? Cosa darsi a riferimento se non si ha la possibilità di varare prima un soggetto? Come definire altrimenti un soggetto se non ve ne è uno sociale tagliato precisamente da concrete condizioni? Cosa comporta il fatto che oggi il concetto di “classe” non può far conto su una precisa faglia di popolazione con caratteristiche omogenee?

Nella teoria dei sistemi c’è molto catalogo di forme. Un sistema è formato da una ricetta semplice. Prendete parti, le interrelate tra loro, si saldano naturalmente e fanno una roba maggiore delle sole parti, perché hanno le interrelazioni. Due umani di sesso diverso fanno famiglia, ad esempio, ora alcuni pensano di poterla fare anche se non di sesso diverso. Tali sistemi vivono in un ambiente di sistemi e se sono grandi, essi stessi son fatti di sottosistemi. Ne viene fuori un ambaradan complesso, anche perché non è detto che le interrelazioni siano lineari. Lineare è io ti do uno schiaffo e tu me lo restituisci. Non lineare è se mi spari o mi chiedi di fare pace. Si possono formare complesse catene di interrelazioni non lineari nella catena sistemica. Il tutto si svolge in un contesto con cui i sistemi hanno relazioni da e per. Il concetto che presiede questo stato di compatibilità è il reciproco adattamento. Infine, l’intera questione è una storia, un fenomeno che sta nel tempo, ha una origine, svolgimento, fine o trapasso ad altro. 

Provate ad immaginarvi questo cubo pieno di cose (una sfera, quello che vi pare) che sono sistemi con sottosistemi al loro interno e con interrelazioni tra quelli maggiori che si agitano in un ambiente delimitato da una cornice che fa da contesto in un dato tempo e per un dato tempo. Questo inquadramento può ospitare il mondo intero, quello materiale e quello immateriale. Dai quanti agli ammassi di galassie, dai fonemi ed alfabeti all’intera storia culturale umana, inclusa la religione. Questo impianto descrive il mondo, è in grado di leggerlo ad una certa grana. Non lo interpreta lo offre all’interpretazione, non lo pre-giudica lo offre al giudizio, è solo utile. Non esiste in natura nulla che sia un Uno completamente irrelato, non esiste nulla che sia assoluto. Assoluto viene da -ab solutus-, sciolto da legami. Nulla è sciolto da legami nel grande intreccio del mondo, incluso tu ed io. Tutto è fatto di cose che hanno legami tra loro.

Tale descrizione vale per qualsiasi macchina creata dall’uomo, per l’uomo stesso, per l’intero cosmo, per l’universo delle idee, dei concetti, dei discorsi e delle teorie. Certo, il sistema meccanico ha sua logica, quello biologico anche, quello mentale figurati, quello sociale di più, quello economico-politico anche, quello fisico dipende dai componenti, quello metafisico anche. Ma c’è uno strato del reale studiato da una disciplina negletta, la chimica, che è proprio lì dove si cucinano i totali maggiori della somma delle loro parti. Dalla chimica poi diparte tutto il mondo organico ed inorganico, financo il mentale quando nell’organico s’accende il sistema nervoso. Lo sguardo chimico indaga nella sezione del reale tra il fisico e il biologico, il minerale, l’aeriforme, il liquido.

Il bello epistemico della chimica è che propriamente non ha “leggi” come la fisica (a parte le leggi ponderali che gli sono base per gli aspetti quantitativi delle masse), ha regole, leggi di valenza parziale e fino a caso contrario (che spesso abbondano). Questo perché la chimica risente sempre del contesto in cui opera, non è tutta in sé per sé. Spesso, il nostro pensiero teorico è fortemente influito dal meccanicismo newtoniano poi positivista, tutta roba del XIX secolo, roba che non va più bene, quantomeno nella sua presunzione paradigmatica. Come si possano dire “leggi” in economia o storia o filosofia o psicologia o sociologia è sintomo di quanto male pensiamo. Leggi ci sono in fisica e giurisprudenza, punto. In pieno delirio di potenza potete aggiungere che la vostra individuata legge, ad esempio in economia o politica, è di ferro, di bronzo, d’acciaio, ma state solo facendo dell’immaginaria metallurgia della certezza dato che inconsciamente sapete che non potete star altro che in uno stato reale di incertezza.

La chimica è la scienza dei legami, roba da orticaria per un liberale. Poiché invece tutto il reale è fatto di legami tra cose, varrebbe la pena di studiarli un po’ di più. A me ha sempre fatto impazzire la “regola dell’ottetto”. Pare che gli atomi tendano a formare molecole che poi sono stabili se hanno otto, non meno e non più, elettroni nell’ultima orbita esterna (i chimico-fisici perdoneranno da qui in poi le semplificazioni, spero). H2O è un caso tipico. C’è quindi una logica di equilibrio interno nelle unioni. Ci sono poi le “affinità elettive” avrebbe detto Goethe, le tendenze a maggiori o minori interrelazioni che formano legami. Poi ci sono i catalitici, oggetti che fanno da base per appiccicare atomi o molecole tra loro, partecipano prestandosi come base, poi se tornano a fare gli affari propri. Solone fece una cosa del genere creando i presupposti della successiva stagione democratica ateniese. Chissà perché lo fanno. Non sono i federatori, soggetti guida dei processi di formazione sistemica, poi leader in genere, non hanno interesse al potere se non quello di aiutare a creare maggiori da minori ordinati sebbene dinamici. Vi sono poi processi auto-catalitici, forme di ordine spontaneo di incredibile precisione, dinamica e splendore, vedi acustica e termodinamica. Gli oggetti molecolari poi gradano tra meno di 0, tra 0 e x, oltre x passando dal cristallo al fluido all’aeriforme, sempre con loro logiche di legame. La mano invisibile è un concetto di questa famiglia, un po’ semplificato e idealizzato nella scarsa paginetta della Inquiry smithiana; tuttavia, vi appartiene e tenuto conto dei tempi, alla faccia dell’intuizione, Smith in fondo era solo un professore di filosofia morale scozzese, era la seconda metà del XVIII secolo. Certo era scozzese e non inglese, gli inglesi erano molto più rozzi ed essendo rozzi ne hanno reso rozza l’applicazione. La democrazia in senso radicale è la versione politica della mano invisibile, stessa logica ma con contenuto del tutto diverso. Si chiama “autorganizzazione in stati lontani dall’equilibrio” quelli della vita e porta con se il problema degli adattamenti reciproci. Ne vene spesso fuori ordine dal disordine, mica male, tipo da nubi di supernove il nostro sistema solare, casa. Va poi però anche ricordato che a livello precedente, quello fisico, nel macro, agisce anche la gravità, condizione che spinge le cose tra loro ed aiuta la formazione del concreto e l’ordine della sua dinamica. E c’è anche la termodinamica da considerare. Tuttavia, ammassi galattici che hanno la stessa forma del mio e vostro cervello, invero non sono così precisamente cablati, tuttavia lo sembrano funzionalmente.

Tutto l’argomento, in termini di genealogia dei concetti, sta (vagamente) per certi versi in Aristotele, ma soprattutto non sta nella maniera più assoluta in Platone. Quella mano posta a metà tra cielo e terra quando Aristotele passeggia chiacchierando con Platone con l’indice puntato in cielo (come fanno quelli dell’ISIS per dire che c’è un “solo” Dio, nella famosa Scuola di Atene di Raffaello, indica il regno di mezzo dove le cose si formano per interrelazione, impasto, amalgama. L’ontologia ne risente. In questa impostazione si danno i “possibili” ontologicamente reali (res potentia) e la “realtà” con gli ontologicamente reali (res extensa), Il mondo dei possibili è il mondo che poi alimenta il cambiamento, ma debbono esser possibili almeno “in potenza” per poi diventare “in atto”. A questo stato ci riferiamo quando diciamo di dover essere realistici. Non appiattiti sul reale, ma condizionati dalle più strette condizioni di ciò che può esserlo anche se ora non lo è ancora. Da cui anche l’utilizzo processuale del tempo. Le cose hanno e cambiano nel tempo.

Naturalmente, la trappola della falsa analogia è sempre in agguato. Mondo delle idee, dei discorsi pubblici, della chimica soprattutto biologica, della fisica, sono regni eterogenei o hanno similarità che possono trasferire inferenze? È da vedere caso per caso.

Siamo in epoca liquida si dice, siamo privi di soggetto sociale da autocoscienzare per poi affidarci alla sua leadership di liberazione (ma siamo sicuri di questa idea? Era corretta a livello teorico in generale?), siamo senza partito pur essendo di parte. Non c’è niente da fare? Non possiamo dire e tentare di costruire uno straccio di contro-egemonia oggi ai tempi della dittatura liberal-disperante perché non abbiamo un luogo dove condividere mente ed intenzioni e poi voce ed azione? E poi, quale teoria di mondo potenzialmente collettiva e comune abbiamo a cui riferirci?

I concetti di intelligenza collettiva o quello junghiano addirittura di inconscio collettivo, sono consistenti? O presupporre funzioni individuate come l’intelligenza e l’inconscio mentale nel non individuale è solo analogia vaga? Com’è allora che funziona quando effettivamente si vede un aggregato o un sistema che ha coerenza senza essere Uno? Che legami deboli e tuttavia operativi agiscono?

Si può provare a costruire una area di egemonia relativa nel discorso pubblico senza avere un soggetto fisico ed un sistema ben temperato a guida di leader saggi (i leader saggi penso appartengano al nostro infantile immaginario, nostalgia del genitore, di Dio), per autorganizzazione e convergenza parziale e nebulosa e tuttavia operativa, incidente, risuonante?

Chissà, c’è da studiare penso, al solito…

Io mi occupo da anni, tra le altre cose, delle immagini di mondo. L’immagine di mondo altro non è che l’intera mentalità che io e voi abbiamo in testa, consapevoli o meno. Essa è fatta di contenuti e di metodo, di logica, di categorie, di procedure del pensiero. Spesso ci diciamo i nostri diversi contenuti e non ci capiamo o litighiamo. Per forza, partiamo da forme diverse di comporre il pensiero, dovemmo discutere quelle non i risultati, pensare che partendo dai risultati (idee, opinioni) si possa cambiare il retrostante è senza senso o con possibilità davvero deboli. Bene. Tuttavia, in certi momenti sociostorici, si sono formate immagini di mondo abbastanza omogenee e condivise, Atene, Rinascimento, Zeitgeist, decine di altri casi da Montmartre alla swinging London, passando per la NY anni ’60, il movimento alterglobalista. Entità eterogenee ed autonome che condividono almeno parti o gestalt anche vaghe di immagine di modo (più nel metodo che nei contenuti), sono in grado di dialogare, costruire pensiero collettivo e coordinarsi spontaneamente almeno a certi livelli. Presupposto però, è che i portatori di immagini di mondo dialoghino tra loro, abbiano interrelazione, puntino a formare un quadro di maggiore omogeneità relativa.

Noi non dialoghiamo più tra noi. Ognuno di noi intellettuali critici, parla fuori del noi, si rivolge da solo al mondo, fa Hyde Park corner, ha introiettato l’individualismo esistenziale e mentale. Magari ci leggiamo reciprocamente o leggiamo cose simili, ma se non lo discutiamo in comune, la tela non si tesse, il sistema non si forma, l’immagine rimane caleidoscopica. Sta tutta in un tubo, ma non ha forma sua.

Un tentativo di porsi il problema della per quanto limitata contro-egemonia da poter costruire nel tempo (sono cose che si fanno con questa materia prima: il tempo), forse dovrebbe porsi questo problema. Non avremmo i mezzi ed il soggetto, ma potremmo comunque lavorare a formare una meno eterogenea immagine di mondo di riferimento comune, senza per questo immaginare una truppa ordinata allineata e coperta. 

Certo l’impostazione critica di cui qui pur rileviamo problemi, è solo negativa, è condivisione del negativo e il riferimento che critichiamo dà comunque un po’ di ordine. Se dovessimo passare alla fase costruens, la fase positiva, la varietà esploderebbe. Già oggi tra demagoghi populisti, quasi conservatori, destra non conformista, progressisti non traviati, mille sfumature della fu sinistra, ostinati marxisti, vaghe stelle dell’orsa, abbiamo un indice di biodiversità (e confusione) altissimo. Ma tanto abbiamo da occuparci del problema più semplice, per il momento. A coloro che storceranno la bocca per l’estrema eterogeneità dell’elenco pensando subito con ribrezzo il vedersi accumunato a impostazioni del tutto non condivise, segnalo che democrazia radicale prevede la lotta delle idee al suo interno -così come la lotta di classe o addirittura la stasis-, per poi trovare spinta per la lotta esterna che il fine ultimo. Ci sono infatti problemi di egemonia nel sistema per dare poi al sistema la possibilità di lottare contro altri sistemi. L’avversario dominante ha tratti totalitari, si devono opporre masse per quanto poco unificate. Si tratta di idee e discorsi, non ancora di azione politica concreta, di azione culturale. Siamo tutti ateniesi, non siamo spartani, condividiamo la stessa polis, ci piaccia o meno.

Dialogo, logos in comune tra due, discorso non impianto e suoi risultati, semplice discorso, relazione, relazione che forma sistemi tramite legami, anche deboli. Tele, reti, pattern, gestalt, cose di tutti, per tutti e di nessuno, cosa da mettere in mezzo a noi (en mèson), in comune.  

Chissà che comunitarismo, bene comune, senso comune, comunismo, sistemi non abbiano questa stessa radice, radice e radicale che si dice: “Essere radicale significa cogliere la cosa alla radice (Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)”. Radici, rizomi, tuberi, bulbi. Datemi retta, nei vostri modi di pensiero, abbandonate la meccanica ed avventuratevi in biologia, siamo tutti Bios, perché ragioniamo come macchine?

Capitalismo è macchina, democrazia è Bios.

Sul mondo letto con lenti Bios, segnalo un autore della cultura della complessità americano: Stuart Kauffman, del Santa Fé Institute.

>> https://www.sinistrainrete.info/teoria/27816-pierluigi-fagan-la-questione-dell-egemonia-nel-xxi-secolo.html

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About pierluigi fagan

66 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore, nel 2015 uscirà Benvenuti nell'Era Complessa per Diarkos editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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11 Responses to LA QUESTIONE DELL’EGEMONIA NEL XXI SECOLO. Politica e cultura ai tempi del mondo disperso.

  1. Avatar di marterlun marterlun ha detto:

    L’egemonia si costruisce passo dopo passo. Chi oggi è l’alfiere più avanzato e nelle tesi e nella continua analisi del passato/presente/futuro è Alexsandr Dugin con la riproposizione sempre attenta e formidabile dei cambiamenti in atto. A parer mio nella sua “La quarta Teoria Politica” è condensata lo stimolo maggiore per creare l’egemonia alternativa al neoliberalismo delle oligarchie occidentali. È il punto di riferimento, ma non è il solo, a cui fa riferimento, dove si esalta le civiltà le decine e decine di civiltà in cui il neoliberismo ne ha fatto strame e vuole continuare a farlo. Non c’è scelta bisogna fermare il caos dove il vampirismo delle gerarchie occidentali trae in continuo sangue per perpetuare il suo potere

    martelun

    • Avatar di pierluigi fagan pierluigi fagan ha detto:

      Una questione con un altro lettore su messaggi non pubblicati, mi ha portato a verificare che il software di questa piattaforma, aveva catalogato il suo intervento come spam. Lo ignoravo quindi ma ora l’ho recuperato.

  2. Avatar di MARIA LAURA MARIA LAURA ha detto:

    “Cosa comporta il fatto che oggi il concetto di “classe” non può far conto su una precisa faglia di popolazione con caratteristiche omogenee?”.

    Questa è l’unica cosa di senso che ha scritto. Tutto il resto è un farfugliamento compiaciuto e logorroico. Risponda a questa domanda, con parole semplici, senza arzigogolamenti pseudo filosofico-scientifici, partendo dalla definizione di classe sociale. Altrimenti più che con la complessità abbiamo a che fare con la confusione.

    • Avatar di pierluigi fagan pierluigi fagan ha detto:

      Oddio, dramma, come si fa senza la “classe”? Lei deve adattare la realtà al suo Letto di Procuste, si dovrebbe fare il contrario. Se non ha una definizione possibile oggi di classe per il senso che a lungo avuto, perché la società è sfarinata e complessa, cosa fa? Mi faccia una domanda più precisa se vuole una risposta più precisa. “Pseudo filosofico-scientifici” dettagli il suo giudizio. Ma chi è per dare per dare dello “pseudo filosofico-scientifici” alle cose che scrivo, così un tanto al chilo, en passant. Dettagli.

      • Avatar di MARIA LAURA MARIA LAURA ha detto:

        Non mi sento orfana delle classi sociali, ma esse esistono, indubitabilmente. Una definizione precisa e, se permette, scientifica, di classe sociale ce l’ho (si può discutere, per carità). È lei che ha eluso la domanda, ossia non ha definito le determinazioni di classe sociale. Ripeto: possibilmente senza paludamenti verbali, senza chiamare sul banco dei testimoni una sfilza di nomi che dovrebbero avvalorare delle tesi.

        Forza, non è un dettaglio, non irrida, apprezzi il mio interesse per lei. Eviti di mostrare esattamente gli stessi difetti che denuncia, di quelli che mescolano tutto e vanno in tutte le direzioni.

        Vediamo se ci riesce, in modo di dare sostanza all’unica (unica e preziosa) osservazione di reale significato del suo labirintico discorso, che, a mio avviso, punta a farci conoscere quanto lei ritenga di essere culturalmente elevato e capace di scaltra affabulazione. Vedrà, se fatto con impegno e umiltà, questo esercizio di chiarimento servirà anche a lei, soprattutto a lei.

        Come vede, la mia critica è genuina, onesta, coglie il buono di ciò che dice. Ritengo inoltre di non far parte della schiera di quelli che hanno fatto della libera insolenza il loro modello comunicativo. Il che non è poco di questi tempi.

        grazie.

      • Avatar di pierluigi fagan pierluigi fagan ha detto:

        Ok salto i commenti del suo commento. Ritiene possibile oggi una definizione di classe sociale? La dia così discutiamo di cose e non di atteggiamenti. Da quello che so e ritengo, oggi gli individui mostrano comportamenti assai irregolari se messi dentro blocchi statistici di comune definizione. Dagli anni ’60, la statistica sociale ha gradatamente abbandonato le classificazioni socio-demografiche (età, sesso, condizione economica, condizione di studio, abitazione etc, insomma ISTAT e si è spostata in quelle c.d. psicografiche (Eurisko, CENSIS). Non meno imprecise ed a volte arbitrarie, tuttavia con lo sforzo di leggere atteggiamenti psico-sociali non direttamente legati alla supposta condizione socio-demo. Ciò è avvenuto nella ricerca, perché è sembrato ciò avvenisse nella società. Quando a Natale di più di venti, passando per le vie del centro di Roma, incontrai due ragazze che lavoravano come segretarie presso due mie clienti e di cui sapevo all’incirca lo stipendio e tuttavia le trovavo in fila da Cartier per comprare due fermasoldi per i fidanzati, s’è palesato il fenomeno per il quale difficile è trarre disegno sociale di una qualche utilità da coordinate valide forse decenni fa. nel senso che con quel reddito non mi aspettavo di trovarle in un posto del genere. Per altro anche Cartier ha avuto la furbizia di produrre anche cose minime, sapendo che in fondo vendeva solo marchio da esibire. Oggi, l’intero apparato Internet-social-dati serve pe profilare addirittura individualmente. Le segnalo che per venti anni mi sono professionalmente occupato anche di questi aspetti, sebbene non sia uno statistico o scienziato sociale. Ma aspetto la sua classificazione, vediamo come la pensa, ha addirittura promesso di esser “scientifica” (io ho molte meno pretese epistemiche con la sociologia politica). Quello che non avevo capito era perché dovevo darla io la definizione visto che ho detto che non era possibile. Unitamente al tono svalutativo un tanto al chilo, forse comprenderà un po’ di urto. Vediamo se riusciamo a capirci meglio.

  3. Avatar di MARIA LAURA MARIA LAURA ha detto:

    Buongiorno, vedo che anche lei è mattiniero.

    Lei ritiene che una classificazione/definizione di classe sociale oggi sia molto difficile se non impossibile (leggo correttamente?). Oggi, scrive, “gli individui mostrano comportamenti assai irregolari”, e dunque dovrei dedurre che secondo lei una classificazione/definizione dovrebbe avere quale presupposto dei comportamenti soggettivi piuttosto omogenei per prestarsi a una più esatta classificazione (guerrieri e schiavi, operai e contadini, per dire di un tempo antico). Anche la “condizione socio-demo” non si presterebbe adeguatamente, eccetera. L’esempio delle due ragazze davanti a Cartier dovrebbe essere rappresentativo del fatto che entro la nebulosa sociale una classificazione/definizione è assai problematica. Resto perplessa.

    Un fenomeno può essere definito sia in base al suo aspetto esterno, sia in base alla sua origine reale. L’analisi fenomenologica (empirismo, positivismo, varie derive “marxiste”, ecc.) considera il fenomeno per quanto si mostra nella sua manifestazione esteriore e ne deduce che la forma del manifestarsi coincida col nesso causale che le sta a fondamento. Il caso più frequente riguarda i fenomeni connessi all’economia, ma anche, per esempio e per l’appunto, quando si ha a che fare con le classi sociali.

    Sul tema s’incontra un errore comune nel sociologismo. È vero che ad un esame puramente fenomenico noi troviamo delle “cose”, e cioè dei gruppi psico-sociali, dei gruppi di status (patrizi e plebei, manovali e artigiani, borghesi e gentiluomini, ecc.) sovradeterminati dalle motivazioni più disparate, ma queste aggregazioni, essendo potenzialmente infinite quanto lo sono gli individui, sono il prodotto di un’infinità di fatti casuali (le due ragazze davanti a Cartier).

    Pertanto, scelgo un approccio non ideologico (come piace dire a lei), ossia un approccio sulla base della sua oggettività e non della sua soggettività (in seconda battuta possiamo considerare anche questa). Ma anche in tal caso c’è sempre il rischio di andare incontro, dritti-dritti, a un errore comune.

    Molti, soprattutto in passato, ritenevano che una classe sociale fosse un insieme di individui con lo stesso rapporto con i mezzi di produzione. Apparentemente è una tesi sostenibile. Su Wikipedia (perdoni la citazione colta), alla voce “classe sociale”, si legge: “Una famosa definizione di classe sociale è quella marxiana, in cui si intende per classe un insieme di individui che hanno lo stesso posto nella produzione sociale e in conseguenza lo stesso rapporto con i mezzi della produzione.”

    Nulla di più sbagliato, tantomeno in rapporto a “famosa definizione”. Sarà famosa presso gli analfabeti e i lettori di Wikipedia, tuttavia Marx non avrebbe mai fatto, sic et simpliciter, un’affermazione del genere. Se per appartenere a una determinata classe sociale bastasse un determinato rapporto con i mezzi di produzione, ciò significherebbe che chi non possiede i mezzi di produzione appartiene al proletariato (o, se piace di più, all’evanescente classe media), e chi, per contro, di tali mezzi di produzione è proprietario, appartiene invece alla classe dei capitalisti, alla borghesia. E ciò, ripeto, sembra esatto, ma di per sé non è sufficiente e porta nel fosso dell’ideologia.

    Chi di noi può negare che un artigiano, un idraulico, un falegname, un elettricista, un meccanico d’auto o un gommista, non siano proprietari dei loro mezzi di produzione? Oppure un piccolo contadino proprietario di un appezzamento di terra? Appartengono oggettivamente alla classe sociale dei capitalisti e dei borghesi? Certamente, stando alla definizione che Wikipedia attribuisce a Marx e che tanti marxisti farebbero volentieri propria. È difficile far comprendere al senso comune che due forme identiche possono avere contenuti diversi, e viceversa.

    Per come la vedo: le classi sociali sono delle strutture oggettivamente motivate e determinate dalla base economica e dai rapporti complessivi storico-sociali nei quali gli individui, volenti o nolenti, si generano e ricadono. Il criterio fondamentale che distingue le classi è il loro posto nella produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi della produzione.

    Non è la stessa cosa che scrive Wikipedia e poi ripetono i grulli. Ciò che anzitutto distingue le classi è il loro posto nella produzione sociale, ossia il loro posto nella divisione sociale del lavoro, e non semplicisticamente il loro rapporto con i mezzi della produzione. Un elettricista è proprietario del cacciavite con il quale lavora, dunque in strettissimo rapporto col proprio mezzo di produzione, ma oggettivamente non appartiene alla classe dei capitalisti. E nemmeno un idraulico con il suo giratubi può essere classificato come borghese, per quanto egli pratichi sistematicamente i pagamenti in “nero” e possa sforzarsi di apparire un “signore” nei suoi atteggiamenti e sfrecci su un fuoristrada inseguito da Equitalia.

    Viceversa, l’AD di una società può anche non possedere nemmeno un grammo della proprietà della società che dirige, eppure egli ha un ruolo che non è quello degli operai della stessa fabbrica ed è per questa sua diversa posizione nella divisione del lavoro, e quindi non solo per il suo sproporzionato reddito, che egli non appartiene alla classe degli operai.

    Come lei sa per matura esperienza e per solare evidenza, è la divisione sociale del lavoro, ossia il posto che in essa il singolo individuo o la massa degli individui della stessa condizione occupano, che determina le modalità dell’appropriazione/distribuzione della ricchezza socialmente prodotta (salario, rendita, profitto, ecc.).

    Riassumendo: i proletari, quantunque possano sentirsi soggettivamente di non appartenere al proletariato e di far parte invece di una non meglio definita “classe media”, restano incatenati a una sfera di attività determinata ed esclusiva che è loro imposta quasi “naturalmente” e dalla quale non possono sfuggire se non vogliono perdere i mezzi per vivere.

    Pertanto, il prius su cui s’innesta la divisione in classi è dato dalla divisione sociale del lavoro e non, meramente, dallo status (vero o presunto), dal reddito, frequentazioni, posto di lavoro e luogo di abitazione, rapporti di vicinanza o lontananza dai partiti e dal potere.

    Nessuno in cuor suo vuol lasciare questo sistema, che se non altro lascia timide speranze di migliorare la propria sorte. Aspettative ridotte sempre più al lumicino perché ormai è chiaro che il modello economico capitalistico non può dare ad ognuno quello di cui ha bisogno mantenendo allo stesso tempo alte performance di accumulazione. I potenti (i più “illuminati”) hanno ben chiaro questo fatto e sanno che i poveri, della cui abbondanza numerica non hanno più bisogno, minacciano l’ordine borghese ed è dunque necessario ridurne il numero, e ciò deve avvenire prima che questa popolazione diventi vecchia e bisognosa di cure e assistenza.

    Grazie per la sua attenzione e buona pasquetta.

    • Avatar di pierluigi fagan pierluigi fagan ha detto:

      Bello corposo, grazie e buona festa anche a Lei. Da ultimo sono notturno più che mattiniero. Mah, le faccio un esempio: lei pensa che esista una classe o faglia o nuvola o quello che le pare che possa definirsi proletariato? In Italia c’è un 70% di possessori quantomeno della propria abitazione, hanno quindi un capitale. Su gli altri 30% si pososo pure avere dubbi su casi di affittuari perenni anche per ragioni di fisco, inoltre ci sono molte gabole di catasto ed intestazioni fittizie. Insomma, la teoria della classe con massa maggioritaria, oggi non si dà più. Con cosa lo fa il movimento di rivolgimento di tutte le cose esistenti? Inoltre, ci sarebbe da discutere come psiche, immaginario, vissuto, aspettative, autorappresentazione, sogni, modificano e pluralizzano la condizione da lei individuata. Nel 1870 nasce la psicologia scientifica, abbiamo un secolo e mezzo di sviluppo, la psicoanalisi, la sociologia, l’antropologia, la storia delle idee,, insomma è sicura che tutto sta lì nel rapporto tra ruolo sociale e sistema di produzione? Alla luce dello scambio sviluppato e se vuole ancora più da sviluppare (converso volentieri a questi livelli e forme), mi sa dire che psiche ha per dare del fuffarolo ad un interlocutore che ha le sue legittime cose da dire e che non chiede certo adesione acritica? Se per lei sono importanti A, perché non mi lascia ritenere importanti B,C,D? Lei è in grado di falsificare o contestare l’altro da me detto? O semplicemente non le piaceva o non rispondeva alla sua forma mentale? Riprenderemo se vuole dal corso “classe”, magari ci intendiamo ancora meglio. Lei è marxista?

      L’intento del mio scritto era dire: bene, se non vogliamo rinunciare al movimento che trasformi lo stato delle cose vigenti, come altro si può fare senza “classe” di riferimento? Si può fare? Come? Ci sarà pure un modo magari 2.0 visto che dal XIX secolo è passato un secolo e mezzo? O Marx ha individuato leggi sociali, storiche ed economiche astoriche e de-geografiche? Per chiarezza, politicamente io sono democratico radicale ovvero non penso che quella che chiamiamo democrazia (anche in Costituzione) sia tale e sarei per l’estrazione dei principi (non del modello ovvio) delle (poche) varie forme di democrazia reale e di quella ateniese o greca in particolare, principi da riusare dentro altro contesto di fatto e di pensiero (teoria). Al fine di creare condizioni di possibilità per tentare il cambiamento profondo o quantomeno dargli un inizio, una prospettiva. Non uso il concetto di rivoluzione, la rivoluzione è una invenzione concettuale inglese, liberale, borghese. Tanto per guadagnare tempo.

      • Avatar di MARIA LAURA MARIA LAURA ha detto:

        Ho voluto dire che l’appartenenza a una data classe sociale è un fatto oggettivo e non soggettivo. Censis, Istat e la varia sociologia apologetica possono almanaccare ciò che vogliono, e nel senso ideologico che conviene. L’appartenenza a una data classe sociale non riguarda nemmeno il possesso. Il mio vicino di casa possiede cose che io non ho (e delle quali non avverto il bisogno, ma transeat), tuttavia non solo è un proletario che sgobba anche a pasquetta, ma è individualmente anche un poveraccio.

        L’africano che possiede un tucul, il brasiliano che possiede le lamiere che gli fanno da tetto in una favelas, non sono possessori di “capitale”. Allo stesso modo non possiede capitale chi è proprietario di una villetta o di un castello (salvo nella mistificazione fiscale), a meno che questo castello non venga impiegato altrimenti e sia fonte di lucro. In tal caso, comunque, non si diventa ipso facto capitalisti, ma solo degli albergatori, cioè degli affittacamere. Quanto al resto:

        «Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che dall’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione» (Il Capitale, I, VII, 3).

        Marxista? Per certi aspetti trovo avvincente A. Smith, ossia un economista di quando l’economia politica non era ancora diventata volgare apologia del capitale. Semmai potrei sentirmi marxiana (e marziana!), dunque marxista quanto lo poteva essere Marx stesso (si parva licet). Ma anche definirsi è un fatto soggettivo e personalmente non amo le etichette e gli stereotipi (compresi quelli di cortesia, ma ho apprezzato quella con la quale mi ha risposto).

        Cordiali saluti.

        M.L.M.

      • Avatar di pierluigi fagan pierluigi fagan ha detto:

        Lei sa che esiste addirittura un “Adam Smith Problem)? Il punto è che l’opera principale di Smith era la Teoria dei sentimenti morali, credo lo scozzese la rieditò con correzioni ed affinamenti quattro volte mentre scriveva l’Inquiry. La TdSM è basta sul concetto di simpatia, l’uomo ricerca l’altrui simpatia, la simpatia (empatia) dei suoi simili. Allora l’egoismo del lattaio e del macellaio della famosa mezza paginetta della Inquiry in cui si celebra la “mano invisibile”? Tra l’altro, amico di Hume ed a lungo sottorraneamente sospettato di cripto-ateismo, c’è sempre la possibilità che nelle sue intenzioni, l’espressione (mano “invisibile”) avesse un che di ironico. Strano che uno che ti spara più di mille di pagine di testo, riduca la faccenda a mezza paginetta. Ma il punto più affascinante di Smith oltre l’ultimo capitolo della Inquiry, è che pare avesse intenzione di produrre una trilogia, standard ai tempi dello studioso affermato, come poi farà Kant. Ebbene, pare che la terza opera dopo la TdSM ed Inquiry, fosse politica. Smith ne scrisse ma redasse un mandato di gestione del suo post mortem molto rigido che imponeva l’esecutore testamentario a bruciare l’intero manoscritto se non terminato, come non fu. Be’, cosa vi avrebbe mai scritto? Io penso che partendo dall’ultimo capitolo della Inquiry dove certi temi sociali già compaiono, l’avrebbe forse buttata non dico sul socialdemocratico che è un anacronismo, ma comunque su qualcosa che a metà del Settecento sarebbe suonata ben strana. Gustoso anche il punto della Inquiry in cui afferma che ogni riunione con più di tre imprenditori si sarebbe dovuta sciogliere con la polizia, poiché sicuramente stavano congiurando contro il mercato. Smith filosofo era, per lui il mercato doveva far fallire un 15% di imprese anno, per funzionare altro che Schumpeter! Solo che economia, politica e società ne sarebbe uscite devastate. In effetti gli apologeti del mercato fanno solo retorica, nei fatti i capitalisti evitano come la peste di confrontarsi davvero con un libero mercato. Smith poi aveva una visione di fiscalità poliziesca. Come tutto ciò sia diventato il Canone liberal-capitalista, è mistero delle immagini di mondo.

  4. Avatar di antonio martiradonna antonio martiradonna ha detto:

    Nei commenti che io leggo qui sopra , replica e controreplica , noto che vi siete immersi non intenzionalmente , spero , in una palude da cui e’ difficile uscire con dei concetti chiari , distinti e definitivi . Ovvero con un concetto o definizione che dir si voglia di ” Classe sociale ” ; cioè cosa sono le classi sociali ?. A me non pare che sia stato espresso , ma rimandate a ciò che ognuno dei lettori sa avendolo imparato dalla vita , sopra tutto da come ciascuno si ritrova nella gerarchia sociale . Lo si fa in modo automatico ; SE SONO OPERAIO , FIGLIO DI OPERAI , so bene di appartenere ad una classe sociale bassa . Ma voi avete mai lavorato nell’industria , qualsiasi industria : manifatturiera , petrolifera, metalmeccanica , siderurgica ? Negli anni 60/70 vigevano i contratti collettivi nazionali di lavoro, che erano in vigore con precisione , ad ogni scadenza di due o quattro anni c’era il rinnovo , che so del chimico , e tutti i lavoratori del settore avevano dei miglioramenti . Così è sempre stato; poi a partire dagli anni 80/ 90 , in coincidenza con l’aumento rapido del debito pubblico , ( epoca di Craxi e dei socialisti ), le cose non sono andate più così , perchè i grandi gruppi industriali , sia privati che pubblici ,hanno cominciato ad affrontare una grave crisi e , dunque sono corsi ai ripari , parcellizzando la produzione tra diversi attori . ( Il siderurgico di Taranto è stato svenduto ai Riva di Uboldo o giù di lì, dove avevano un’acciaieria decarbonizzata da quell’intelligentone di Prodi ) . Cioè facevano produrre componenti e apparati meccanici da installare in linee di produzione dello stesso stabilimento , da numerose ditte diverse , capaci di abbassare i costi perchè ricattavano la manodopera con stipendi da fame : o così o vai a spasso. Non solo : ma i sub-sub appalti non si contavano ; ce n’erano diversi e ognuno prendeva la sua fetta di guadagno, solo per fornire ad un’altra ditta un certo numero di operai . . Questa organizzazione della produzione in accordo ad una parabola discendente è sempre più peggiorata . fino a che non hanno pensato ( le teste d’uovo dell’economia e della strategia industriale ) di far intervenire nei processi produttivi nuovi attori come i cinesi e altri dello scacchiere estremo orientale . ( rif. ai cantieri navali di Monfalcone pieni di gente del Bangladesh ) . Le classi egemoni , che sappiamo quali sono , e non sempre sono egemoni perchè un capitalista conserva il suo potere di mercato e sulle vite dei suoi dipendenti fino a che un altro capitalista non lo supera e non lo scalza dalla prima posizione , hanno la FONDAMENTALE tendenza a tirare dalla loro parte anche le classi sociali subalterne , perchè con la pubblicità martellante , i famosi ” persuasori occulti ” cosi denominati da un sociologo americano ( autore di un famoso libro che ho letto e perso ) , non perchè le vorrebbero tirare più in alto , al loro livello ( giammai! ) ma perchè devono acquistare e consumare i loro prodotti . C’è sempre stata , dei tempi dei tempi , almeno dall’era industriale dell”800 , la piccola borghesia, la veramente piccola , piccola borghesia che aspira a salire nella gerarchia sociale, da cui ne viene respinta regolarmente , perchè l’alto borghese non vuole spartire privilegi che per censo gli sono sempre appartenuti . Ma politicamente la piccola borghesia ha la sua importanza perchè può spostare il peso dei suoi voti per una parte o per l’altra ; quindi i politici furbi la adulano . La piccola borghesia sale e scende , sempre così . E’ già successo in Italia, no? I piccoli borghesi, adagiati nelle loro piccole sicurezze impiegatizie , nei modesti tornaconto derivanti da una ostentata fedeltà verso un capo , erano tutti fascisti , ma oggi sono indistinguibili a causa delle abitudini , dei comportamenti , dei luoghi che frequentano , della simulazione di uno status sociale ricco, degli acquisti che effettuano nelle boutiques di prim’ordine . Sono indistinguibili dai veri ricchi . E il dott. Fagan cita l’esempio delle ragazze di basso ceto che vanno a comprare il gioiellino da Cartier . Ora mi accorgo che mi dilungo troppo e vorrei portare un altro esempio di definizione di ” classe sociale ” o, meglio , di trasformazione . In Sicilia ,dove ho lavorato a lungo in trasferta per grosse società nel settore petrolifero ho constatato che degli operai intraprendenti hanno creato delle ditte di montaggio , avendo la certezza di ricevere ordini dal committente principale per cui avevano lavorato per molti anni , da dipendenti, diciamo , come tubisti o saldatori . Questi operai sono diventati capi di imprese , nel senso di imprenditori veri e propri e da un non meglio precisato momento hanno iniziato ad assumere l’atteggiamento di padrone . La mentalità di operaio ,che avevano sempre da rivendicare qualche diritto al padrone ( qui uso volutamente il termine ” padrone ” che ci sta a pennello ) si è in loro dileguata , e si sono rifatti sui loro dipendenti facendo loro ingoiare rospi così come loro stessi avevano ingoiato da semplici operai . Una specie di vendetta o contrappasso ; ora vi chiedo : in quale classe sociale collocate il novello padrone ? Culturalmente è sempre OPERAIO ; ma come possessore di beni e pecunia è un CAPITALISTA . Sono più che convinto che le classi sociali così come le intendevano i comunisti di una volta non esistono più ; si sono sfarinate , per usare il termine di Fagan nel suo commento . Le classi sociali sono state frammentate , sempre da chi ha il bastone di comando , non hanno più una precisa e ben incasellata identità . I membri supposti di una classe , diciamo ad es. di impiegati tecnici , non si riconoscono fra loro , perchè sono in competizione tra di loro , istigata dal direttore della fabbrica o dal grande manager del gruppo . I manager perseguono la politica del ” Divide et Impera” . Sono diffusi nel mondo i sistemi informatici , coloro che vi operano non sono dipendenti ma creatori. Fondano le start-up che forniscono servizi e know how con metodi diversi in confronto al passato quando una partita di merce era spedita e il fornitore riceveva la fattura; e tutto finiva lì . Oggi tutte le società più importanti e universalmente conosciute hanno creato una rete complessa e inestricabile di relazioni ; tali sembrano ad un profano ma non a loro . Ora chiudo con un’argomentazione che da tempo ho abbracciato ; l’uomo , così come lo intendono gli scienziati evoluzionisti, tipo i biologi, i paleoantropologi e tutti coloro che si dedicano alle scienze umane e contigue , cioè quell’essere originario tanto simile ad una scimmia antropomorfa che si è staccata chissà come e perchè dalle altre scimmie simili , circa 5 /6,5 milioni di anni fa , ” l’OMINIDE “o pre-ominide ( come lo possiamo chiamare ? ) , si è trovato gettato, anzi direi scaraventato in un ambiente ostile , pericolosissimo ( Eruzioni vulcaniche , fulmini ,bestie feroci , inondazioni , terremoti e chi più ne ha più ne metta, una vita oltremodo bestiale , ferina ) nel quale c’era una grande PENURIA. Si , una PENURIA di tutto , sopra tutto di cibo . La penuria , la scarsità, o la mancanza di ciò che era ritenuto commestibile ha determinato il carattere e la predisposizione verso l’accumulazione di questo essere tanto primitivo. In una continua evoluzione cui la specie era sottoposta a causa della correlazione stretta e nelle due direzioni ” DA – A ” con l’ambiente circostante ,essa ha costruito un DNA che lo hanno condotto senza alcun ostacolo al CAPITALISMO . Certo è un po’ azzardato o fuori luogo parlare di capitalismo in quella lontana epoca , gli ominidi non ne avevano coscienza , anche perchè non avevano ancora raggiunto il momento evolutivo della nascita del pensiero riflesso , cioè non avevano la coscienza di pensare ; erano tutto istinti . MI SONO CONCESSO LA LICENZA DI USARE IL TERMINE CAPITALISMO NELL’ACCEZIONE MODERNA . Però , a differenza di un branco di leonesse che dopo la caccia nella savana africana soddisfa l’appetito del branco , e non conservano il ricordo della fame , mettendosi a riposo sotto l’ombra degli alberi, lasciando in pace le gazzelle e le antilopi , quell’ominide primitivo forse aveva qualche piccola intuizione della fame futura e pertanto continuava a raccogliere frutti, tuberi radici e foglie commestibili , mettendole al sicuro anche dopo aver soddisfatto l’appetito . Il momento della carne non era ancora arrivato. Direi che è necessario adottare più pragmatismo e verificare i reali comportamenti di una specie , cercando di comprendere a posteriori quali possano essere stati centomila anni fa o addirittura qualche milione di anni or sono , e non perseguire teorie strampalate , quelle dei massimi sistemi , con numerosi elementi che non si sa come metterli in relazione gli uni con gli altri . Ci sono sistemi fisici molto complessi , in cui agiscono numerose variabili , non direttamente correlate fra loro , ma dove una può fungere da set-point, cioè da punto di regolazione di un’altra non della stessa specie, tale che se la prima è una pressione l’altra è portata ponderale o flusso . In un certo grado di assimilazione l’uomo pensa di applicare gli stessi metodi nei comportamenti e azioni umane , ma non è possibile perchè i comportamenti sono imprevedibili . C’è la teoria dei sentimenti e dei desideri e conseguenti appetiti che interviene a modulare le azioni. Per le scoperte ci sono i geologi e le numerose discipline che scaturiscono dalle scienze biologiche, così diversificate oggi , che scavano reperti importanti i quali chiariscono molti aspetti dei periodi evolutivi e possono fissare la fotografia di un essere vivente così come era nell’epoca remota del ritrovamento . La tendenza innata dell’uomo è l’accumulazione e quindi il desiderio di sempre maggiori ricchezze , mentre il comunismo è CONTRO NATURA . Le fantasie raccontate in mille maniere diverse di una primitiva ETA’ DELL’ORO , durante la quale gli uomini vivevano in armonia , d’amore e d’accordo è soltanto fantascienza , un mucchio di stupidaggini . Del resto l’accumulazione è connessa con scoperte e miglioramenti di alcune tecniche e strumenti , come avvenne nel primo Medio Evo con l’invenzione dell’aratro col versatoio , cioè con la forma adatta a creare un solco profondo e a rivoltare la terra ; mentre prima era solo un tronco di legno . Questo permise una maggior produzione di derrate alimentari , di grano sopra tutto e quindi di un notevole ” SURPLUS ” e dunque di ricchezza ; ma di ricchezza personale , non da distribuire tra vari soggetti senza merito . Mi duole constatare che nell’articolo del dottor Fagan intravedo l’eco di vagheggiati sogni egualitari che non condivido, cioè di teorie comuniste che, laddove messe in atto e realizzate , hanno portato a sistemi sociali totalmente fallimentari . Il comunismo dell’Unione sovietica è fallito , collassato su se stesso senza speranza, nonostante il folle tentativo di Gorbaciov di riformarlo . Sono stato in Russia proprio nella zona di guerra di oggi negli anni 60/70 , a Novorossiskji , Odessa , Soci ecc., epoca di Khrusciov e di Brescniev, mi pare . e sono consapevole di ciò che dico . Nell’Iraq di Saddam Hussein , del partito socialista Baath , c’era tutta l’Europa dell’est , perchè il dittatore prediligeva le imprese comuniste , per la vicinanza dei suoi amorosi sensi ; lavoravano da cani , noi italiani eravamo di fianco a loro : Una ingegnera cecoslovacca era la responsabile della radiografie , anche delle nostre tubazioni e quant’altro ; il mio capo andava da questa signora e la pregava di venire a controllare . Ok . Ma sotto il braccio le portava la bottiglia di vodka nascosta in una scatola e lei si precipitava da noi, nel nostro cantiere . Non voglio parlare male di quella gente , ognuno si merita quel che ha . Noi avevamo un viaggio di vacanze ogni tre mesi ,tre mesi e mezzo ; loro andavano casa dopo aver completato i lavori , cioè dopo due- tre anni . Ci guardavano con invidia . Eh, si , ma noi eravamo nel campo capitalista, mentre loro erano dal lato ” del sol dell’avvenire ” Sic transit gloria mundi . Amici vi saluto . Che siate o meno d’accordo io ho detto ciò che penso,

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