DAI BORDI DELLE GALASSIA.

C’è una teoria di cui lessi ma di cui ho perso i riferimenti teorici pratici, in linguistica, per la quale le novità del lessico e delle grammatiche che poi danno vita a pidgin e creolizzazione, provengono dalla periferia verso il centro dei sistemi. Così sembra avvenga anche per le immagini di mondo, le idee che vanno a formare cambi di paradigma e nuove architettoniche del pensiero.

Prendiamo l’immagine di mondo alternativo-critica al dominio capitalista. Qui troviamo Karl Polany, Fernando Braudel ed Immanuel Wallerstein, Gramsci forse e Lukacs, Robert Kurz ed il gruppo tedesco Krisis da altri. Visto che il centro della galassia è da tempo collassata nel suo buco nero, auto-inghiottendosi, sarà il caso di vedere se quelli ai margini possono dare una mano e ripopolare lo spazio vuoto, il cui vuoto angoscia.

Kurz l’ho letto pochi giorni fa, in “La dittatura del tempo astratto” in Manifesto contro il lavoro, Mimesis, Milano, 2023, promosso anche dal collettivo de L’anatra di Vaucanson di Cerea-Frola-Maggini. Lampo!

Kurz attacca con la constatazione dello stato schizoide di tanto mondo teorico dal mondo pratico. Il punto è dirimente. Chi scrive da più di venti anni conduce attività di ricerca indipendente sia dal lavoro, sia da padrini o padroni di pensiero e non esiti economici del suo “lavoro”. Ma per altri ventitré ha lavorato, come chiunque. Da cui shock da sveglia (per il mio bioequilibrio una vera tortura protratta per ore di dolore psico-fisico nel dover deambulare, parlare, guardare sebbene con la mia tipica faccia disgustata e dietro spesse lenti scure anche in interni fino a mezzogiorno), fretta, traffico, lavoro, pausa, lavoro, traffico, casa, stanchezza, sonno. Per diciamo il 40% del tempo di vita, 60% di veglia. Quando mi sono liberato da questo prigione temporale, per anni ho avuto incubi notturni di “non ce la faccio”, “non ho tempo”, “sono fuori tempo massimo”. Non essendo nato ricco, avevo iniziato come fattorino, l’ultimo gradino della scala professionale con tutto il peso dei vari “comandanti” sopra, un punto di vista privilegiato sulla miseria esistenziale e caratteriale umana.

Così, quando ho letto Hegel e poi Marx, Engels e tanti pensatori dell’umano che esaltavano la realizzazione di piena umanità nel lavorare, ho subito capito che questa gente non aveva mai davvero lavorato sul serio, nel senso della gente comune. Così quelli della “piena occupazione”, economisti sociali, adoratori di operai e contadini mattutini se non notturni. Kurz, ad un certo punto, cita la violenza delle luci al neon in interni per farti stare sveglio in orari da sonno, solo chi ha provato quel senso di nausea allo stomaco e di profonda angoscia à la Hopper, capirà di cosa stiamo parlando. Si vede che Kurz ha lavorato, io pure, i teorici dell’esaltazione emancipatrice del lavoro no.

Ne consegue il problema del punto di vista. Se teorico-pratico o pratico-teorico. Il primo tende all’astratto, il secondo al concreto. E Kurz, grazie a dio, è tra i concreti come lo sono molti storici e non lo sono molti economisti. Entusiasmante la sua ricostruzione del volgere il lavoro, da sempre condanna umana vissuta come tale per millenni, in virtù, alla transizione tra medioevo e moderno. Anche perché parte da un fenomeno poco considerato, la fame di armi dell’aristocrazia e poi della monarchia assolutista. Gli aristocratici erano i barbari centro-orientali poi ristanzializzati nell’ex Impero Romano che tramite conversioni benedette dalle gerarchie della Chiesa, diventarono tali definiti da dio con cui i religiosi avevano confidenza. Tra cui quegli anglosassoni la cui antropologia fatta di libertà e priva di polis, è il nocciolo duro del sistema capitalistico moderno. Il tutto anticipato dalla regola benedettina e la severa disciplina dei monasteri della classe religiosa, serva di dio per scelta.

Da lì ne viene fiori la spaventosa dilatazione del lavoro non più finalizzato ai bisogni primari, ma ad una nuvola di secondari poi esplosi secondo le piramidi di Maslow, la teoria della casse agiata, il consumo esibitivo, il consumismo, l’usa e getta, pubblicità e marketing, Hollywood modelli insensati di pseudo- vita, tutto lavoro “astratto” secondo Marx, finalizzato a sostenere la riproduzione del capitale, la distribuzione del reddito del gioco sociale, tenere la struttura sociale occupata a capo chino di modo che non ci sia altro orizzonte che produrre, consumare, crepare. Oggi anche con evidenti impatti negativi ambientali, climatici, geopolitici, di de-significazione sociale e financo depressione personale. E il bello è che il gioco è talmente introiettato da molti, che quando gli vai a domandare perché non considerare una progressiva riduzione dell’orario di lavoro, vedi letteralmente il panico negli occhi terrorizzati!

E bene fanno i contro-lavoristi a ricordare quanta violenza fu necessaria per far innamorare gli esseri umani dell’aborrita fatica. Molti racconti di servi e schiavi non europei confermano che i loro padroni si trovarono in primis, proprio col problema dell’insegnare con la frusta a lavorare, al semplice lavorare concentrato per lungo tempo, continuativamente e senza riposo, pause, ozio, socialità ristoratrice, umanità. In Europa invece il protestante allevato in ambiente freddo e con poco Sole, non faceva fatica a concentrarsi sulla sua ricerca del segno di grazia divina ovvero il successo da lavoro, impegno, insistenza, abnegazione, ossessione. Si parte dagli studi di Marshall Shalins sul tempo di “lavoro” dei paleolitici al conto delle feste medievali, all’ovvia reazione dei luddisti fatti passare per primitivi pazzi, per ricordare il quando non avevamo ancora perso il lume della ragione umana.

Il ragionamento continua in “Il superamento del lavoro” (1999) con N. Trenkle, un pieno di buonsenso che magari passa pure per eccessivamente radicale per chi è catturato dal lavorismo redentore con espiazione del peccato originale e sudore della fronte, segno mistico della colpa che giustifica la punizione alla servitù a questo punto volontaria.

Infine, il Manifesto continua a spargere le sue onde venti anni dopo, sino a noi, qui in pieno delirio neoliberista a fare da “capitale umano”!

La questione, tra l’altro, si collega al problema per il quale la rivoluzione info-digitale, secondo alcuni porterà una immane distruzione di ore lavoro-umano mentre altri ci rassicurano che altri lavori compariranno. Questi fanno fede sul passaggio Otto-Novecento in cui la prima meccanizzazione porto a distruzione creatrice ma poi a nuovo slancio produttivo, una base sola per far da trampolini ad una induzione un po’ spericolata, roba da calcolo della probabilità su base caso unico.

Sta di fatto che se aprite uno smartphone, trovate dentro ridotta a software con interfaccia app: una edicola, giornalisti ormai superflui, tipografi, produttori di carta, camionisti, produttori di macchine fotografiche, rullini, stampatori, produttori di riproduttori audio, vinili, nastri, stereo8, vari formati di video e relativi supporti tra cui nastri, cd, blu-ray, distributori, negozianti, progettisti, pubblicitari, uomini e donne marketing, amministrativi, legali, giocattolai, cartografi, e se poi andate in ambiente web, la qualunque. Un esercito di lavoratori cancellati di assai incerto riciclo. Del resto, se l’info-digitale non offrisse quale suo vantaggio la drastica riduzione del costo del lavoro, non avrebbe certo decollato. Costo, gestione militare delle prestazioni di cose senza la complessità umana, standard, gestione macchina da remoto che quasi allo stesso prezzo hardware ti darà sempre più spazio e potenza di performance secondo la regola di Moore. Con un debole saldo positivo di programmatori e friggitori di hamburger per pausa pranzo, nerd da start up, bambini del Congo che scavano nel fango per i minerali, il complesso militare industriale che protegge le miniere o cerca di impossessarsi delle altrui, qualche analista finanziario e pusher.  Ma vedrai che come morti i cavalli comparirono i taxi, anche questa volta ci inventeremo qualcosa per faticare comunque. Auspicio da tossici.

Naturalmente il minor lavoro residuo potrà e dovrà esser condiviso realizzando così anche una migliore condizione comune. Abbassare le diseguaglianze che il grande big bang info-digitale sta creando con feedback accrescitivi spaventosi. I profitti degli aumenti di produttività sono stati espropriati e non condivisi coi produttori. Posti di lavoro persi cioè reddito che tra l’altro la stupidità umana affascinata dall’intelligenza artificiale, non sembra intendere quanto potere d’acquisto sottragga minando l’equilibrio stesso della pur scombinata macchina capitalistica. Si perla di fino ad un terzo dei lavoratori americani da qui al 2050 persi e non riciclabili. Più i sottoccupati, i flessibili, quelli a chiamata di progetto. Ecco il perché sono proprio le frotte di imprenditori info-digitali battersi affinché si diano soldi con gli elicotteri.

Tutto il discorso rimane al di qua del segmento politico anche se si capisce che se il movimento dei lavoratori, per ovvia missione ontologica, presidiando la metà del sistema binario centrale lavoro-capitale intorno a cui c’è il sistema capitalistico, tutto sarà men che il motore della emancipazione dal sistema stesso. Questo inficia buona parte delle velleità di trasformazione del reale del marxismo. Né si è mai capito davvero perché molti di quell’area, tra l’altro e per lo più borghesi, abbiamo pensato fosse il proletariato la “classe” in grado di redimere tutti gli altri.

L’analisi, la prognosi, vanno invece a confluire naturalmente nello sviluppo di un progetto di lunga durata di sviluppo di una democrazia reale ovvero non quella liberale o di mercato che tale ci ostiniamo a chiamare dando prestigio ad un sistema, di fatto, di categoria oligarchica. Il sistema storico che chiamiamo “capitalista” è stratificato e complesso e andrà smontato molecola per molecola gestendo le sue crisi, sia quella che sempre più incontrerà nella Grande Transizione, sia quella ontologica che noi stessi vorremmo infliggergli sempre che non se la stia infliggendo da solo. La crisi da Grande Transizione è quella che segna l’evidente contrazione dell’areale atlantico-europeo, in cui s’era deciso da tempo di abbandonare l’economia materiale per involarsi nel piano finanziario a base dollaro fiat, già dal 1971. E’ una lunga linea che tende in basso quella delle percentuali decrescenti di Pil annuo dal 1960 ad oggi, dati World Bank. In tale movimento di contrazione, andrà posta la crisi della funzione ordinativa sociale del lavoro, crisi che anche al netto di volontà ed intenzionalità politica, si sta manifestando strutturalmente per fine ciclo vita storica del modo capitalistico.

Lavoratori di tutto il mondo, adesso basta! È più che una battuta, anche limitandolo a noi occidentali. C’è da ostracizzare l’homo oeconomicus che ha invaso il demos e ritornare ad essere homo politicus che torna all’agorà ed assieme ai suoi simili si mette finalmente a costruire una società umana in cui comandare ed esser comandati per dovere di servizio mentre ognuno cerca la sua posizione sociale con libertà, sincronia, creatività e passione civile. Idee arruolabili per la nostra ultima trincea di Democrazia o barbarie.

Sì, questo asteroide può servire eccome a ripopolare la nostra zona protoplanetaria inghiottita dal collasso gravitazionale che investe il nostro spazio geo-storico, pratico e teorico. Togliere tempo alla produzione delle nostre catene, darlo alla ferramenta politica democratica che ci aiuterà a liberarcene.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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3 risposte a DAI BORDI DELLE GALASSIA.

  1. Antonio Recagni ha detto:

    ho letto Kurz e mi sono fatto l’idea che il futuro ci riserva barbarie e non democrazia. Liberarsi dalle catene del lavoro/profitto non può essere solo un atto di coscienza bisogna che ci sia un’altra forma di riproduzione.

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