PENSARE CON MARK FISHER.

Di recente, ad un mio post sulla mi pagina fb, un gradito commento citava Realismo Capitalista (2009-2018) di Mark Fisher e mi ha spinto a colmare la lacuna di lettura che non avevo fatto del famoso testo del giovane britannico, poi sfortunatamente suicida. Il testo è post crisi 2008-9 sebbene sia arrivato in Italia solo nel 2018. Non ne scrivo però una recensione tipica, userò il testo per pensare con l’Autore.

A base, l’Autore era britannico (1968-2017), filosofosociologocritico musicaleblogger. Se ce una cosa che emerge con forza dal suo racconto è che vivere in Gran Bretagna, che una sorta di paese da totalitarismo neoliberista, deve esser un vero incubo. C’è ormai ampia letteratura scientifica sulla massa di multiforme disagio (sociale, psichico, esistenziale, epidemia bipolare, dislessia) che correla le società soprattutto anglosassoni e questa marea di malessere senza speranza. Tenuto conto che capitalismo, liberismo, neoliberismo etc sono tutti fenomeni antropo-storici ad origine anglosassone, c’è da evidenziare come orami l’iniziale loro auto-promessa di bene comune (common wealth) sia stata tradita alla grande, il modello produce negatività crescenti. Segnale di fine parabola del suo ciclo storico? Vedremo, le fini possono avere code molto lunghe.

Il concetto di -realismo capitalista- deriva direttamente dalla perdurante influenza del “There is no alternative” della Thatcher. Realismo ha due significati possibili però. Secondo letture per altro errate sotto molti punti di vista, logici ed empirici, è realistico attenersi solo ed esclusivamente a come è la realtà, la realtà detta la legge dell’unico modello possibile. Questo era il senso che gli dava la Thatcher. Ma realistico è anche la verifica di contenuto possibile, potenzialmente reale e concreto, che può avere cosa che ancor ancora non è, cosa che non è svolazzo ideale, una cosa possibile. In pratica, che tenga conto della realtà prima di partire troppo per la tangente. Io sono un realista di secondo tipo, ad esempio, non del primo. La questione si ripete col concetto di adattamento. Il “ti devi adattare” per alcuni significa conformarsi passivamente al contesto, ma può invece anche significare “devi trovare accordo col contesto, magari cambiandolo per facilitarti l’accordo”. I castori adattano i fiumi al loro stile di vita con dighe mentre imparano comunque a nuotare. L’uomo per tutta la sua storia ha modificato l’ambiente per facilitarsi l’adattamento, l’adattamento è una relazione a due vie non ad una via.

L’ideologia neoliberale è una versione estrema della famiglia liberale che vorrebbe mostrare una contrapposizione irrisolvibile con lo Stato, ma internamente, di sua struttura e riferimento cui è legata in concreto, in realtà capitalismo e liberalismo ed anche neoliberalismo non sarebbero mai esistiti senza l’essersi impossessati di Stati. È questo un punto su cui torneremo altrove con un post dedicato. Ho cominciato a riflettere sulla teoria dei comunisti sullo Stato, la sua presa e gestione futura, ma è improduttiva, non funziona e non è oggi utile. Ma la ricerca deve andare avanti perché quello è il punto dei punti della trasformazione politica, sociale e culturale decisiva.

Il realismo capitalista ha ormai desertificato il campo ideologico e quello utopico, niente ideologia (diversa da quella “liberale” che però non ama presentarsi tale ma come realismo intrascendibile) e distopia come orizzonte altrettanto intrascendibile. Forse poco noto, ma Utopia (More) è genere che nasce inglese, distopia (Stuart Mill) -ovviamente- anche. L’antropologia ufficiale è hobbesiana, cane mangia cane, winner-loser, tradizione tutta anglosassone. Dentro questo coerente recinto cognitivo ed emotivo senza speranza, è impossibile in linea di principio pensare alternative. L’impossibilità retroagisce sulle volontà, si deve introiettare tale impossibilità che diventa depressione, realizzando così i suoi presupposti quietistici. Alla fine, siamo noi stessi a cooperare per rinforzare questo stato di quiete coatta per adattamento passivo.

Aiutandoci con vari storditori ed anestetici: droghe, medicine, finte passioni, Playstation, smartphone, porno, maratone di serie televisive, disimpegno, assenza di pensiero critico, conformismo, gregarismo, passività varie, futilità, deliri narcisistici, edonismo annoiato. In realtà, l’individualismo di massa così realizzato, è distruttivo proprio dell’individuo, è un totalitarismo individualizzato ma poiché vibra all’unisono, è davvero da sciame. Gli insetti eusociali, notoriamente, non sono propriamente individui in biologia. Ora addirittura i germani liberalizzano le droghe leggere per “reggere” il raggelante silenzio di un Paese che di colpo sembra aver perso la sua statura culturale al centro dell’Europa che quanto a “statura” e “culturale” sta scivolando nella insignificanza afasica.

Così scompare il sociale e con esso il politico. Hai problemi? Sono i tuoi problemi personali. Ti preoccupa la questione ambientale, datti da fare tu personalmente, è colpa anche tua. C’è la povertà del mondo? fai la carità. Così per il disagio psichico. Non gliela fai per lo stress o l’ansia? Pillole! Ogni problema è sempre privato, non sociale. La società non esiste, è una illusione infantile e romantica. Il tutto porta all’impotenza riflessiva, l’edonia depressa.

Ci sono però precise ragioni per le quali la tradizione anglosassone non ha il concetto di società, non aveva la polis. Barbari seminomadici presi a clan aggrovigliati in faide, dispersi in spazi di natura matrigna ed avara. Ebbe ben a dire Bacone che la natura doveva esser trattata da puttana da sottomettere alle nostre voglie e bisogni, era arrabbiato e rancoroso con mamma. Sino a quando l’olandese frisone De Mandeville non rivendicò il diritto di fare l’impero dei vizi che producono oro, doppio godimento, rigorosamente individuale ed egoista. Massa di sociopatici alienati. Nulla di politico, può uscire da questa ontologia elementare e puntiforme semplicemente perché la polis non può esser messa a fuoco, non ne hanno traccia nel DNA culturale. Ad un mediterraneo, tra pecorelle, aranci ed ulivi, al tiepido sole riflesso dal mare, la piazza, la Pizia, una roba del genere, non sarebbe mai venuta in mente. E ci hanno pure convinto della nostra minorità, loro biondi dolicocefali superiori a noi che abbiamo creato la civiltà. Roba da non crederci! Del resto il moderno razzismo l’hanno inventato loro, F, Galton, cugino di Darwin. Da parte nostra, imparando dai movimenti di risveglio ed orgoglio della propri identità culturale nel fu Terzo mondo, si tratterebbe di rendergli reciprocità, avere un po’ di razzismo a due vie, light ed ironico, cominciare a fargli presente quanti e quali bug storici, genetici e culturali hanno accumulato ed imposto a nostro danno e non solo. Strano parlare così degli anglosassoni partendo da un britannico? Ma i britannici non sono tutti anglosassoni, britanni, celti, scozzesi, gallesi, misto romani, cornish, irish, sono altro, sono anche cooperativi, anarchici, critici acuti, non meno sociali di noi, alcuni più di noi sanno ed hanno subito l’élite anglosassone sulla loro pelle. Infatti si odiano, neanche una nazionale di calcio o rugby fanno assieme.

Con gli americani è un po’ diverso, ci sono molti scandinavi e direttamente sassoni come ci ricorda sempre Dario Fabbri.

Sii smart, flessibile, nomadico, spontaneo, creativo, adattativo, veloce, multitasking, propositivo, sanamente egoista, antiempatico ma simpaticamente, cinicamente. Stare bene, apparire bene, curare il corpo ma non la mente. Il tuo corpo ci serve, la tua mente “o no per carità!”. A che ti serve la mente? Intelligenza dici? Ma ora te la diamo noi, artificiale, più efficiente della tua. Smart, collegata con le cose, generativa. Un esercito di imbecilli tecnoentusiasti officia il coro di giubilo per l’upgrade umano che sta per arrivare, tipo esercito di bestioline verdi con tre antenne di Men in Black.  

Modello unico collettivo, quando proprio necessario, l’ontologia imprenditoriale. Diventa imprenditore di te stesso, diventi impresa la scuola, la sanità, la politica stessa, ogni forma di gruppo umano, le aziende ovviamente ovvero il lavoro. Ecco perché non c’è più la società, è diventata una impresa. Che poi una impresa aziendale sia anche una società ed ogni società abbia soci e quindi noi si sia soci naturali della nostra società di cui non curiamo i destini è cosa che non va pensata. Dipendiamo ontologicamente dalle forme di vita associata, dalle origini primate in poi, ma non dobbiamo curarci di come va la nostra società, decide lei come deve essere, poi ce lo fa sapere e noi dobbiamo solo adeguarci. Che noi si abbia diritti ed anzi doveri di azionariato attivo, ci è ignoto, negato, sconsigliato vivamente in molti modi. Non saremo in grado, ci dicono. Ci siamo dimenticati che invece siamo i proprietari naturali dell’impresa sociale, per diritto biologico di nascita. Noi non siamo capitale umano siamo capitalisti sociali, ma non lo sappiamo.

Sono duemilacinqucento anni che ‘sta gente va in giro a dire che non siamo capaci, dall’Anonimo Oligarca già Pseudo-Senofonte ai moderni liberali da think tank americano e cattedra alla Ivy League. Le stesse frasi, gli stessi concetti, la stessa protervia e falsa oggettività, la stessa ridicole arrampicate pseudo-logiche. E noi pure a stargli appresso, come bambini spaventati da cosa ci succederebbe anche solo a dirgli “ciccio, ma che stai a dì?”. Difesa, giochiamo sempre in difesa le rare volte che giochiamo sapendo che tanto perderemo di nuovo e come sempre. Sembra un rito Maya.

V – Vi secolo a. C. eppure c’è tutta la filosofia politica di ogni forma politica basata su élite, fino ai deliri espertocratici attuali.

Il tardo capitalismo a deriva neoliberale ha i suoi paradossi. Produce ad esempio volumi sempre più ampi di burocrazia, più avanti Fisher userà la bella espressione di “stalinismo di mercato” mostrare risultati formali senza alcuna sostanza sotto o addirittura con risultati contrari alle attese. Non credendo invero all’individuo, alla sua autonomia, alla sua cultura, creatività, proceduralizza tutto, misura tutto per valutare tutto per ottimizzare tutto. Sapesse poi come.

Nel mio passato da manager di multinazionale, vissi dal vivo questa svolta verso la proceduralizzazione della qualunque, un delirio paranoico con punte di esilarante surrealismo, ma ben ricordo, di altrettante e sistematica allegra distruzione di valore professionale in cambio di formalità fittizie a fini di misurazione finanziaria. Altresì ricordo perfettamente il tempo e le ragioni vantate per la svolta alla flessibilità ed alla distruzione di ogni ordinata forma di lavoro professionale, ero imprenditore. Lo sfondo era la promessa di crescita impetuosa per via delle nuove tecnologie e l’aprirsi delle praterie di nuova intrapresa finanziata da un volume famelico di capitale in cerca di riproduzione. Era l’epopea delle start up, erano gli anni Novanta. Quando poi venne assorbito il codice, si scoprì che tale flessibilità era l’adattamento elastico a condizioni ben meno progressive, era un rendersi compatibile ai rendimenti decrescenti di un mercato del lavoro ristretto dalla globalizzazione. Mentre sopra si elevava al cielo la nuova aristocrazia della ricchezza finanziaria che neanche ti lasciava la mancia dello straccio di uno stipendio decente.

Chi lavora oggi ad esempio nella scuola, sa del tempo perso a riempire moduli inutili a scapito del lavoro culturale vivo, ma vale in molti altri campi. Stante che questa dittatura della valutazione, è indifferente al fatto che a volte si trova a dover “misurare” cose che semplicemente non si possono misurare, non hanno natura misurabile. Ma “i numeri parlano!”. No, i numeri contano. La gente dei soli numeri ha la mente cablata male, da John Nash in giù, l’eroe della Teoria dei giochi, ci hanno fatto pure un film, storie buone da pensare, modelli, esempi: uno schizofrenico? La dittatura delle quantità è cieca per le qualità ed ignora che invero ne dipende ontologicamente.

Questo regime ha il suo tempo unico che è: adesso! Non esiste passato, mai come in questa epoca c’è indifferenza ed ignoranza storica totale, nonché pensiero a lungo termine. Il pensiero di futuro è loro monopolio, magari in dorati hotel svizzeri tutti coca e prostitute e buoni ritiri in Nuova Zelanda, non si si sa mai quando l’AI avrà la maligna singolarità e si metterà a cercarci per farne graffette. Confinati nell’adesso, cosa vuoi pensare ad un possibile altro di prospettiva, magari da costruire nel tempo. Come in Flatlandia di Abbott (Adelphi, Milano, 1993), non ci sono altre dimensioni del punto esatto in cui sei confinato.

Il tutto, nel libro, convocando qui e lì film, serie, romanzi e racconti, musiche, Zizek, Badiou, Wendy Brown, Jameson, Sennett, Harvey, Kafka a più riprese, in un diario del reale al plumbeo tempo della fine di ogni storia.

Anticapitalismo Made in LUISS?

Certo, la condizione poi personale chiaramente depressa dell’Autore fa da sfondo fisso, tuttavia quale poeta o musicista o artista non ci ha illuminato sul dolore umano poiché lo provava più forte ed intenso di noi, pagandone infine le conseguenze sul piano personale? A differenza loro noi poi rimaniamo vivi, ma spesso per provare delle emozioni è a loro che ricorriamo. Sono gli eroi umani che soffrono più di noi perché sentono più di noi, a volte sentono anche per noi.

Chiudo con una constatazione formale. Qui in Italia uno stile di fresca scrittura saggistica à la Fisher non esiste, così come Fisher è stato ed è ancora un culto di molte fasce di giovane generazione, fasce che qui non si esprimono più di tanto, a cui non ci rivolgiamo mai, che non ascoltiamo perché non parlano anche perché presuppongono che non li capiremo. Penso che una volontà di jihad culturale quale ipotizzata in precedente post, dovrebbe porsi questo problema del linguaggio, della forma, dell’apertura mentale e concettuale, della curiosità avida dell’Altro. Il “peso della tradizione” qui da noi è ancora monopolistico, solo saggi professorali, atmosfere gravi e plumbee da “qui si parla di cose serie”, termini da setta epistemica chiusa, rimandi incrociati tra gente che neanche viene letta. Alcuni anche “rivoluzionari”, anti-individualisti, critici della corsa la potere, mentre corrono la loro.

La “freschezza” a volte si esprime su Internet, ma spesso sfocia nell’eccessiva leggerezza, tradisce la voglia di esser consumata, riflette talvolta narcisismi da “date anche a me il mio quarto d’ora di notorietà”! Si dovrebbe andare alla ricerca di un nuovo, giusto mezzo, ma per farlo dovrebbe esserci dinamica sociale e ai tempi che ci sono toccati in sorte di vivere c’è solo da marciare compatti verso dove hanno deciso che si deve andare. Chissà poi se anche loro sanno dove di preciso.

Non facciamo più cose assieme e va bene, anzi va male molto male, ma non siamo più neanche in grado di parlare assieme. Malissimo. Riconnettere menti a parole e bocche ad orecchie, tocca ricablare la società reale prima che che finiscano di costruirne del tutto una parallela a loro unico uso e controllo. C’è poco tempo. Damose da fa’.

Come? Cominciate ad aprire bocca e dargli fiato. Abbiate il coraggio di servirvi della vostra stessa intelligenza, diamine!

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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5 risposte a PENSARE CON MARK FISHER.

  1. antonio martiradonna ha detto:

    Quant’è logorroico lei. Pubblica un articolo al giorno e non da il tempo necessario ai lettori che hanno ancora la pazienza di dedicarsi ai suoi articoli di leggerli . Che sono, le dico la verità , alquanto indigesti , difficili e vagano tra numerosi argomenti e discipline. Ma sono correlati tutti gli argomenti che tocca ? Oppure il suo è ” un flusso interiore di coscienza ” a imitazione dell’Ulisse di Jaime Joyce ” ; cioè riporta i suoi pensieri così come le appaiono nella mente ; per es. cosa ha a che fare nell’altro suo articolo la ” regola dell’ottetto “ della chimica in un contesto narrativo di politica , egemonia e sociologia ? Anche lei ha una vasta biblioteca alle spalle, come gli intellettuali che appaiono nei talk show televisivi? Come il rincitrullito filosofo Cacciari? Quando era manager con l’ENI ( come mi ha informato ) il suo tempo lo dedicava a fare il capo commessa o a scrivere per il blog? Penso che una certa Laura , sua commentatrice avesse ragione , con le tre prime righe di commento Non me ne voglia. Accetti la sincerità .Saluti

    • pierluigi fagan ha detto:

      Accetto tutto. Continua a sfuggirmi il perché ci sia gente che sente l’urgenza di dire al prossimo cose del genere. A me risultano numeri di lettura e riscontri interessanti, il mondo è vario non ruota tutto intorno al tuo asse. Io Barbie so a priori che non mi interessa, non è che me lo sorbo per poi criticarlo. Avete evidentemente un sacco di tempo, buon per voi. Ritmo alto e comprensione problematica? non vedo il problema, siete voi a dover decidere il vostro ritmo e l’utilità di ciò che leggete, non siamo mica a lezione. Pensi coi suo tempi, è inutile altrimenti. Cordialità.

      • antonio martiradonna ha detto:

        Egr. dott. o prof . o saggio tuttologo , la stessa cosa potrei dire di lei : mi domando qual’è la molla che la spinge a inondare la rete di infinite elucubrazioni non rispondenti a nessuna di quelle realtà che lei pensa che siano certe di esistere . Non ho mai adottato la Barbie, non ironizzi p.f. Ora le dico io come va tutto l’ambaradan : ci sono coloro che producono ricchezza ( mi limito a riferirmi all’Italia , che qui interessa entrambi , spero ) , e coloro che la ricchezza prodotta da altri ( da quelli che cioè sono ai banchi a remare come sulle galere! ) la consumano , come intellettuali e pseudo intellettuali , impiegati dello stato , delle regioni , delle provincie , dei comuni , insomma di una miriade di enti di cui chi ha un pò di cervello in testa capisce che sono inutili . Sono soltanto stipendifici . Invece di discettare dei “Massimi sistemi ” e di teorie molto, molto astratte , lei volga lo sguardo verso il basso , dove si accapigliano i poveracci sottopagati o precari , oltre che i raccomandati privilegiati , sottopancia di politici locali ecc. , indaghi con più attenzione nella costellazione della burocrazia e troverà , ad es . che nel nord della Puglia c’è ” L’ente riforma ” che avrebbe il compito , da quel che mi risulta , di regolare il corso delle acque di due fiumiciattoli , quasi sempre a secco , il Fortore e l’ Ofanto e di uno di cui non ricordo il nome .. Lì ci lavorano fior di ingegneri e idraulici , tra cui il figlio di un mio amico . In provincia di Taranto hanno creato tempo fa ” la Comunità montana ” dove l’altezza max . raggiunge 80 metri sul l.d.m. a Palagianello. Forse per spiluccare un pò di soldi o altro . Queste sono la realtà di questo paese tralasciando la corruzione , gli sprechi, ecc. . Io , come le ho detto in altro commento , ho fatto in tutta la vita un lavoro intellettuale, come è quello che si fa in progettazione di raffinerie, petrolchimici e oleodotti e altro ancora. Diamine , mica siete solo voi gli intellettuali ! Con il gruppo di lavoro ,ovviamente , prima le si metteva sulla carta . poi si passava a costruirle , poi le si metteva in servizio e si iniziava la produzione , poi la mia compagnia incassava il saldo del S.A.L. , centinaia di milioni di dollari oppure si portava a casa , dato in contro fornitura dai vari governi arabi di Egitto , Iraq , Iran, Arabia Saudita , Libia ecc. petrolio grezzo e gas naturale , che sono l’energia primaria per fare girare questo paese . Paese che non possiede niente nel suo sottosuolo , siamo poveri ; siamo obbligati a essere un paese trasformatore . Capito mi hai ? Le è piaciuta la metafora dei rematori delle galee ? sono poco più di quei 20mln di lavoratori delle fabbriche e dei cantieri , in giro per il mondo . Avevo scritto un commento dell’articolo sulle egemonie ma mi è stato cestinato , Non so perchè. Ah, in economia sono fisiocratico . Saluti maestro .

    • Michael Schotensack ha detto:

      Finnegan’s Wake. Criticare a vanvera come lei uno studioso che generosamente condivide sintesi e considerazioni dei propri studi mi sa tanto di invidia ignorante e ingenerosa. Saluti. Michael

  2. antonio martiradonna ha detto:

    Anche lei è un intellettualoide che passa il tempo nella sua biblioteca ricca di volumi da cui si ispira , un pò di qua, un pò di là , per costruire qualche giudizio strampalato che poi pubblica ? Mi dica , Finnegan’s Wake l’ha letto ? Io faccio corretti commenti desunti dalla vita reale , da esperienze di notevole spessore vissute nelle più disparate aree del pianeta . Tutti così voi intellettuali : non date mai una risposta a tono . Svicolate sempre . Ha letto il mio lungo commento al quale ha appiccicato la sua frasetta ? Non provo alcuna invidia, figuriamoci , per topi che rosicchiano pagine di testi famosi . Ho svolto il più bel lavoro del mondo . Produttivo !!! Lo legga e lo rilegga , che le fa bene !

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