DECIDERE IN CONTESTI COMPLESSI.

Molti neuroscienziati notano come il nostro cervello-mente si sia lungamente evoluto, quindi formato, alle prese con problemi vicini (fame, sete, sicurezza), immediati (giorno per giorno, ogni giorno) relativamente semplici (amico/nemico, sesso, utile/inutile), in gruppi piccoli tendenzialmente egalitari, relativamente isolati tra loro, in cui ognuno conosceva ogni altro.

Oggi ci troviamo associati in gruppi enormi, di una certa densità territoriale che si estende ormai alla dimensione planetaria, in cui i più ci sono sconosciuti, dentro formali e informali gerarchie multilivello, con un gran numero di problemi complessi e con decisioni che avranno effetti e conseguenze decennali, che spesso vanno anticipati perché “dopo è tardi”. Si tratta di problemi spesso percettivamente invisibili eppure decisivi come la questione ecologica, climatica, geopolitica, economo -finanziaria, le nuove tecnologie. I gruppi umani molto antichi erano per lo più natura, i gruppi contemporanei sono per lo più cultura.

C’è chi da tutto ciò, trae motivo per promuovere lo sviluppo di protesi cibernetiche ed info-tecniche, dagli impianti di chip agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, che dovrebbero potenziare e correggere il nostro strumento decisionale. C’è quindi una tendenza a ridurre il problema, problema dell’adattamento all’era complessa, alla tecnica, una riduzione della decisione al calcolo.

La natura intrinseca dell’organo pensante è di per sé adattativa, è il motivo stesso per il quale semplici reti di neuroni percettivi (calore, luce, senso interno) e del moto sono diventati cervelli e sistemi nervosi, tant’è che la loro principale caratteristica è la plasticità nel collegare il senso interno col mondo esterno. Prima di passare all’aiuto di supporti di calcolo, ci sarebbe da domandarsi cosa facciamo per allenare questi cervelli e menti ai contesti complessi. Che tipo di sistemi logico-categoriali-di giudizio promuoviamo, a che tipo di funzione nel mondo prepariamo le nostre menti, che tipo di pedagogia usiamo, che forme della conoscenza e trasmissione ed insegnamento della stessa adottiamo, quanto e quale tempo dedichiamo alla formazione ed autoformazione, la loro stessa qualità sia sul piano individuale che sociale.

Conoscendo appena un po’ della complessità intrinseca di alcuni temi contemporanei, si pensi all’intero capitolo eco-climatico o la transizione demografica e culturale che sta sovvertendo i vecchi equilibri di convivenza geopolitica planetaria o la decisione di quanta e quale tecnologia importare nelle nostre strutture di vita, verrebbe da domandarsi cosa mai ne possono sapere individui che dedicano ben più della metà del proprio tempo di veglia a lavorare, dove si formano una opinione e prima ancora una conoscenza, con quali strumenti, con quali condizionamenti, con quali opportunità di scambiarsi conoscenze orizzontalmente tra simili, con quali minime competenze. Tenuto anche conto del fatto che per loro natura le nuove matasse problematiche sono intrecciate al loro interno mentre tutta la nostra conoscenza e la sua trasmissione è tagliata in discipline verticali che non comunicano tra loro e tra i loro portatori.

Paradossalmente, gli antenati del tempo profondo avevano certo un range di problemi più limitato e relativamente più semplice, tuttavia avevano molto più tempo a disposizione per elaborare, individualmente ma anche collettivamente. Il primo problema del temuto disadattamento tra noi e l’era complessa è di natura culturale più che di capacità di calcolo.

L’organo pensante coi suoi 85 miliardi di neuroni (rimanendo nello stretto cerebrale anche se sappiamo che la sua natura è incorporata) e tra 10 13 – 10 15 di sinapsi, coi suoi molteplici attivatori e repressori, oscillatori, reti di retroazione ha di per sé la forma prototipica di ciò che chiamiamo “complessità”, una enorme varietà, interrelazioni, auto-organizzazione, finalità adattativa. A priori, non sembra proprio esserci alcun problema di adeguatezza tra cervelli-menti umani e complessità del mondo, almeno sul piano delle condizioni di possibilità, non sembra esserci alcun problema di protesi necessaria. Il problema, semmai, è nel come coltiviamo le forme interne dell’organo a livello individuale e poi collettivo stante che buona parte del problema adattativo all’era complessa riguarda le società prima che i singoli individui. L’adattamento tra umanità ad ambiente e tra le singole civiltà e nazioni per una pacifica e cooperativa convivenza planetaria, non chiama un singolo “genio” che chissà quale soluzione troverà, chiama la facoltà di auto-modificarsi delle menti e società stesse per regolare i propri comportamenti in funzione dei nuovi limiti, ridistribuendo all’interno problemi e nuove opportunità, con conoscenza qualificata e consenso distribuito, sviluppando visioni strategiche.

L’adattamento prevede sempre un doppio movimento a modificare l’esterno ma parimenti il nostro interno. Sembra invece noi si introduca una rigidità sull’interno e si scarichi tutto sull’esterno. Se i conti non tornano, invochiamo un supercomputer che aumenti la nostra potenza di calcolo.

I proliferanti studi sulla Teoria della decisione, hanno sviluppato recenti ambiti di ricerca sul ragionamento euristico, la Teoria dei giochi, la razionalità limitata (la stessa definizione di “razionalità”), i bias interferenti (Kahneman-Tversky), le preferenze ed il ruolo delle emozioni, l’utilità attesa, i limiti dell’induzione, la Teoria delle decisioni comportamentali, le misurazioni del rischio, differenze tra decisioni tattiche e strategiche con informazioni più o meno complete, le condizioni di incertezza, la statistica bayesiana, le differenze tra decisioni individuali e collettive ed è un campo di studio eminentemente multi-interdisciplinare coinvolgendo statistici, economisti, sociologi, psicologi, ingegneri, biologi, matematici, informatici, logistici, scienziati cognitivi, storici culturali, scienziati politici e filosofi. Trovandoci in mezzo ad un periodo di transizione tra era moderna e complessa, molti di questi studi restano nel campo del moderno pur acquisendo elementi superficiali del campo complesso. La loro “logica” è ancora prettamente moderna e replicante le attuali forme della società e della conoscenza. A cominciare da quell’idea tipicamente riduzionista di affiancare al wetware cerebrale dell’hardware al silicio e poi chissà che software, sviluppato come e da chi, a quali fini, stabiliti come.

L’intero pluriennale sforzo a cui ci dedichiamo nel promuovere questo annuale Festival della Complessità, è teso a richiamare l’attenzione sulla necessità di sviluppare pienamente una cultura della complessità adattativa alla nuova era complessa. L’era complessa pone problemi e sfide nuove e difficili, ma non è con una chip o un algoritmo che produrremo nuovo adattamento, né sembra possibile mantenere intatte le forme del pensiero e dell’azione sociale moderna con una spolverata di perplessità sul pieno dominio razionale, un pizzico di incertezza, un non fidarsi troppo dell’induzione, un po’ di matematica in più o in meno. Non ci sono le tre regolette auree di come decidere in contesti complessi, c’è da assumere il problema a livello culturale ed è all’esplorazione di questa nuova cultura con finalità pratiche e teoriche che dedichiamo questa XIV edizione del nostro Festival.

>> https://www.festivalcomplessita.it/la-complessita-in-pratica-vivere-decidere-agire-decidere-in-contesti-complessi/

>> https://www.festivalcomplessita.it/

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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