NEOLIBERISMI PRECOCI.

B. Stiegler, filosofa politica francese, conduce in questa ricerca una genealogia del neoliberismo americano, sincronico all’ordoliberismo tedesco e quello poi più idealista di Hayek, versione americana meno conosciuto ma forse anche più influente. L’eroe negativo della storia è il mitico Walter Lippmann. Solo un “giornalista” come alcuni lo ritennero, in realtà politologo pieno e poi politico dietro le quinte, stratega di pratiche e pensiero, inventore di una versione americana della propaganda più sofisticata, delle pubbliche relazioni, dello sterminio sistematico dell’intelligenza collettiva.

Lippmann, come altri liberali oligarchici, rimase sconvolto dal registrare i ripetuti fallimenti del mercato che culminarono nel 1929. Non un ideologo o un economista ma uno dei più grandi storici dell’economia, Paul Bairoch, ha più volte significato quanto brevi e disastrose furono le fasi storiche ed economiche in cui s’impose la dittatura del libero mercato ritenuto ente autoregolato che spande benefici secondo logica.  Lippmann allora reagì come i più prudenti tedeschi di quell’ordoliberismo che inaspettatamente scovò M. Foucault nelle lezioni in cui pure s’era ripromesso la fondazione teorica del suo concetto di biopolitica. Strano a notarsi ma era il 1978-9, pochi si sono meravigliati di questa prematura lucidità del filosofo ricercatore francese.

No, non era vero come pensavano i più ingenui liberali classici che il mercato è equilibrato, creativo e potente, va incontro ripetuti fallimenti. Ecco a cosa serve uno Stato, a contenerlo e dargli continuamente protezione e condizioni di possibilità. In più “preparare” la società a stargli attorno. Nel novero dei “neo-liberalismi” alcuni dei quali ancora attardati in idealismo, quello di Lippmann e quello tedesco sono interventisti, non in economia, ma nel giuridico, geopolitico, sociale e culturale.

Stiegler ricostruisce questa storia americana, seguendo la dialettica tra Lippmann e Dewey, liberale oligarchico l’uno, liberale democratico l’altro, entrambi pragmatisti ed evoluzionisti. Pessimista sulla natura umana l’uno, ottimista l’altro. Divisi sul concetto stesso di adattamento. Adeguamento alla unica realtà possibile ed intrascendibile il primo, manipolazione della realtà per favorirsi l’adattamento il secondo. Le stessa partizioni tra realisti.

Stiegler contesta quel refrain di Lippmann per il quale l’uomo non sarebbe naturalmente adeguato ai tempi che gli sono toccati in sorte di vivere, già un secolo fa. Alla fine, Lippmann delirerà con serietà e razionalità di eugenetica come oggi molti fanno con le idee di impianto chip ed elettronica nel bio e solo perché è più o meno vietata l’aperta manipolazione genetica.

Non mi sento di seguire la Stiegler sul punto, dopo quello che è successo gli ultimi settanta anni. Tre volte la popolazione del pianeta è cresciuta, mai registrato come fenomeno storico umano in quei tempi e quella entità, così gli Stati, così le interrelazioni, così la pressione planetaria, sul contenitore ed i contenuti. In effetti il mondo è e sta cambiando profondamente e velocemente, abbiamo sì evidenti problemi adattativi. Solo che di adattamento, come detto, si danno due significati e diverso atteggiamento, passivi ed attivi.

Per Lippmann, antichissima tradizione che risale quantomeno al pamphlet dell’Anonimo oligarca ateniese, la massa non sa nulla tantomeno governarsi, ha bisogno di governo di chi sa, per il suo stesso bene. Anche perché lui come tutti coloro che portano avanti questa stantia tesi, tiene fissa la struttura econocratica che è poi quella che deve dare i crismi di idoneità adattiva. Ci si deve adattare passivamente alle logiche ordinative dell’economico, dove negli anni ’30, Lippmann vede già il capitale globalizzato, non le produzioni, il capitale liquido. Già li parla di individuo flessibile con straordinario anticipo. Lippmann pensa che lo Stato debba garantire sanità e stabilità ambientale nel suo neo-interventismo e qualche liberale duro e puro lo giudica pure di “sinistra”. Ma è una falsa prospettiva, è solo che effettivamente se si vogliono sfruttare appieno e ciecamente gli individui, tocca mantenerli almeno sani ed in contesto stabile.

La grande riforma umana è tramite il diritto quindi opera di Stato. Ma la sua condizione di possibilità primaria è mettere fuori gioco l’intelligenza individuale e generale. Le persone debbono diventare molluschi elastici ed irriflessivi, de-soggettivizzarsi. Le nazioni debbono diventare interdipendenti nel più ampio novero della divisione del lavoro da mercato-mondo, Ghandi e la sua ruota del cotone emancipante se ne farà una ragione. Le teorie e pratiche propagandiste che resero famoso Lippmann, sono state alla base del concetto di “fabbrica del consenso” di Chomsky, poi di Cristopher Lasch anche per l’altro concetto del “governo degli esperti”. Quella espertocrazia, che è variante del pensiero politico platonico e che da secoli viene ripetuta da ogni élite per giustificare il proprio ruolo sociale e politico. In mano o in mente a Lippmann, la democrazia diventa un sussurro di assenso lungamente e profondamente preparato per l’ennesima servitù volontaria.

Passività, inerzia ed eterogeneità delle masse; volontà, mobilità, capacità di mantenere una direzione coerente da parte della necessaria guida del potere gerarchicizzato, gli eletti (in entrambi i sensi). La gente è mediamente in uno stato in cui il mondo è una cosa, l’immagine che ne hanno un’altra. Solo chi sa, fa coincidere entrambi e mette a fuoco la realtà, facendoci poi sopra piani e strategie per manipolarla. In fondo siamo nella dominante versione del repubblicanesimo hamiltoniano, lo standard americano. L’uomo di stato sarà un generalista esperto solo nella scelta degli esperti.

= 0 =

Lavoro serio quello della Stiegler per via di una frequentazione ravvicinata ed attenta di fatti e testi di questa storia del giornalista che cucito nel tessuto dei poteri di Washington e financo dei suoi presidenti, ha fatto da filosofo dei re in pieno stile platonico.

E cosa si è perso l’americano nel vedere oggi come tutto il fenomeno NBIC, sia la più gigantesca strategia di tipo biopolitico e psicopolitico al contempo. Nanotecnologie, biotecnologie, infotecnologie, scienze cognitive, mobilitate a creare molluschi behavioristi che accarezzano voluttuosamente lo schermo del proprio smartphone, ricavando piacere tattile dalla pellicola di ossido di indio drogato di stagno. Poi lo accendono e si perdono dentro l’acquario di un mondo irreale mentre fanno i loro propedeutici esercizi di genuflessa servitù volontaria come gli studenti coranici.  Strategia non certo del capitalismo o dei capitalisti, lanciato nel 2002 da National Science Foundation e Dipartimento del Commercio USA ovvero il 25% dei budget investiti in ricerca di base nel sistema dei college americani amministrato da un tizio nominato dal Presidente e confermato dal Senato -più- la Camera di tre milioni di imprese nel paese, 2.000 camere locali o di Stato e 830 associazioni commerciali. La dimensione della camera è composta di esperti politici, lobbisti ed è nota per spendere più soldi di qualsiasi lobby del paese su base annua. Stato quindi non mercato o Stato per mercato, strategie, coordinamenti intenzionali altro che laissez faire. Ne uscì una vivace collezione di idee, 400 pagine per 50 contributi scientifici.

Quando il vostro critico-critico di fiducia inizia con le forme economiche, ditegli che deve darsi una svegliata e rivolgersi a quelle politiche, giuridiche, fiscali, militari. Se ha qualche consiglio utile su come prender o riprendersi lo Stato, bene, altrimenti si perda nei suoi almanacchi geometrico-aritmetici da accademia platonica. Qui il mondo non riusciamo a cambiarlo, perché forse non l’abbiamo compreso bene.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
Questa voce è stata pubblicata in democrazia, economia, evoluzione, occidente, politica, recensioni libri, usa e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.