MAYDAY.

Visto che oggi è il 2 maggio, possiamo parlare del 1° maggio evitando l’effetto marmellata. Mayday ha tre significati: 1) primo maggio Festa dei Lavoratori; 2) inizio dell’estate nell’emisfero settentrionale: 3) richiesta di aiuto se ripetuto tre volte per aerei o imbarcazioni in difficoltà.

Alleghiamo dotta ricostruzione storica del primo significato, niente di meglio di un serio storico per farlo e quindi niente di meglio di Hobsbawm, un vero Maestro.

Mi preme però sottolineare un punto, sempre lo stesso come già fatto altre volte negli ultimi anni al di là delle forme e dei vari significati sociologici, politici, storici, economici ed ideologici che poi prese la data ed il suo festeggiamento.

L’oggetto del contendere delle manifestazioni di Haymarket del 1886, da cui poi discese tutto l’epopea del 1° maggio, era la riduzione dell’orario di lavoro.

Come vado ripetendo ormai da tempo come un disco rotto, il moto arrivò fino al 1919 quando al’ILO (International Labour Organization), si convenne sulla formula 8-8-8 ovvero otto ore di sonno, otto di veglia personale, otto di lavoro professionale. Nella seconda metà del Novecento si rosicchiò qualcosa al sabato poi al sabato mattina, ma erano aggiustamenti parziali.

Quello che s’era perso fu il moto di fondo sul problema di quanto tempo dedichiamo alla vendita dei nostri corpi e menti per ricevere il reddito che ci mantiene in vita.

Marx, un Marx che pare invisibile anche a molti marxisti o marxiani, più e più volte indicò questa come “battaglia fondamentale”, vero e proprio discrimine tra una idea di uomo umano e uomo sfruttato da altri uomini. Niente, il tema pare non abbia più interessato e mobilitato alcuno.

Io credo invece che ci sia un metodo diretto per vedere cosa dispiace di più al sistema capitalistico e capire così direttamente dove il sistema è più sensibile, dove mostra il suo punto critico e questo punto è proprio il pretendere che il tempo di lavoro si accorci progressivamente.

Non importa come si fondi questa pretesa, essa non necessita di alcuna giustificazione complicata, è un semplice moto di emancipazione umana. C’è la vita personale da curare, quella famigliare, quella amicale, quella intellettuale, quella sociale, quella politica, c’è un sacco di roba da fare che non facciamo perché “non abbiamo tempo”. Quindi pretendiamo più tempo. La pretesa è del tipo prioritario, ogni altra conseguenza ed aggiustamento, modo di gestirla, viene dopo.

Quando questa battaglia venne fatta, la reazione fu rabbiosa, sembra proprio che questo fatto del tempo di lavoro porti il sistema a reagire in maniera animale, c’è qualcosa che lo turba ontologicamente in questa contesa sul tempo.

Andiamo incontro a tempi in cui il lavoro si ridurrà per sostituzione macchina-algoritmo, in cui si ridurrà perché siamo in una stagnazione di lungo corso ed a fine ciclo del capitalismo occidentale, in cui dovremo ridurlo per alleggerire l’impatto ecologico e poi climatico, perché ormai la divisione internazionale del lavoro a seguito le risistemazioni conseguenti la globalizzazione ce lo impone.

Ma niente, l’idea di riprendere quella lunga marcia per la liberazione ed emancipazione umana per riappropriarsi della propria sovranità temporale, non piace e nessuno. Siamo intrappolati in un meccanismo di servitù volontaria. Tutto, meno che rivendicare il proprio tempo.

Io penso, al contrario, sia ancora la battaglia fondamentale. Non avremo alcuna democrazia ovvero non avremo alcuna possibilità politica di organizzare le nostre forme di vita associata, senza avere persone con più tempo per conoscere, dibattere, decidere assieme il da farsi. E senza una rinnovata e potenziata forma di democrazia radicale, potrete continuare a dichiararvi socialisti o comunisti o femministi o ecologisti o decrescisti o qualsiasi altra pagina del postalmarket ideologico, che tanto non avrete il gioco che vi permetta di praticare il vostro ideale. L’unico gioco che può promettere non solo di interpretare il mondo ma di cambiarlo assieme è una forma di democrazia radicale che però reclama tempo per funzionare.

Per cui chiudo in bello stile lanciando il mio “mayday-mayday-mayday, per una nuova felice stagione politica, si invita a riconsiderare l’importanza decisiva della battaglia di tutte le battaglie, riprenderci il nostro tempo!”.

Lavoratori di tutto il mondo, lavorate di meno!

[Si prega di evitare qui di aggiungere -a parità di salario- non siamo scemi, è ovvietà. Così come è ovvietà ricordare che a quel punto scattano le ridistribuzioni del lavoro sanando -in parte- anche vari problemi occupazionali. Se non vi piace Marx mi posso giocare un Keynes annata 1930 se preferite.]

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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